“Guardi sono a Ginevra a presiedere il Cda della Federazione. Da ieri il mio telefono squilla in continuazione ma a me nessuno mi ha chiamato, solo voi giornalisti”. Quasi se la ride, ma neppure troppo, il presidente nazionale della Croce Rossa Francesco Rocca, classe 1965, quando risponde al telefono. Il suo nome è su tutti i giornali come futuro ministro della Salute ma lui – giura – non ne sa nulla. “Mi avrebbero dovuto almeno chiamare da Roma e chiedere “Francesco, ma sei interessato”?” anche perché sono stato rieletto a giugno e ho un’agenda piena di programmi da qui all’anno prossimo”.
La risposta potrebbe essere dettata da tatticismi. Se invece fosse autentica e sincera, sarebbe una notizia: da giorni Meloni&C rassicurano il Paese sul governo “praticamente fatto” e si scopre che non è così, specie se il ministro quasi-designato (ma a sua insaputa) è quello che dovrebbe gestire l’emergenza Covid e tutti i problemi della sanità italiana che ha portato a galla. L’interessato, va detto, non chiude del tutto la porta: “In caso qualcuno mi chiamasse dovrei valutare attentamente, ma il punto è che proprio nessuno me lo ha chiesto e io non ho preso minimamente in considerazione la cosa, anche perché sono impegnato in altre mille”.
Dice il vero, mente? Rocca non è tipo che le manda a dire: “Qui ci stiamo occupando di crisi alimentare in Africa, se voi del Fatto poteste dare una buona volta spazio anche a questo e non solo all’Ucraina…visto che stanno morendo molte più persone nel Corno D’Africa che a Kiev. E questo non per dire che quello è più o meno importante, ma che non esistono vittime di serie B. E questa è la mia preoccupazione in questo momento”. Il Rocca-pensiero potrebbe dunque essere allineato alle posizioni pre-governative di Lega e Fratelli d’Italia. Ma un’altra frase buttata lì potrebbe anche cambiare le cose, in un senso o nell’altro.
“Però, per favore, non mi fate passare per quello che non sono e non sono mai stato, ovvero un neofascista”. Frase che in bocca a un potenziale ministro del governo più a destra della storia repubblicana potrebbe incenerirne all’istante la candidatura, o viceversa favorirla perché perfetta per il clima di normalizzazione/emancipazione dal passato ingombrante del primo partito d’Italia. Il riferimento, perché va precisato, è a diversi articoli che lo hanno accreditato come “vicino ad ambienti di estrema destra”. Un timbro che a Rocca non piace e che rimane dal 2010, quando venne fuori che nella sua segreteria da commissario della CRI c’era tal Paolo Pizzonia, ex membro dei Nar, i Nuclei armati rivoluzionari, che si è fatto sei anni di galera per banda armata e altri reati gravissimi. Di quella vicenda oggi dice: “E’ stato dipinto come il mio braccio destro ma non era vero: era un dipendente pubblico, non l’ho contrattualizzato io e il relativo concorso lo aveva fatto anni prima. Ma me lo hanno accollato a me. Pazienza”.
Rocca-sì, Rocca-no dunque. E allora veniamo al cv del (forse) ministro. Quello ufficiale colloca tutta la sua giovinezza nell’ambito dell’impegno civile e sociale : gli anni degli studi in giurisprudenza, il volontariato nel Jesuit Refugee Service, poi con la Caritas, infine con la Piccola Casa della Divina Provvidenza Cottolengo. Impegno che gli vale i primi incarichi manageriali: presidente dell’Ipab “Asilo della Patria” dal 1996 al 2003, commissario e poi direttore dell’Ospedale Sant’Andrea di Roma dal 2002 al 2007. Ancora, componente del consiglio d’indirizzo dell’Istituto Nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani” di Roma dal 2007 al 2010 e del nucleo valutazione dell’Istituto Nazionale Tumori – IRCSS Fondazione Pascale di Napoli dal 2005 al 2009. Infine, Commissario straordinario della Asl Napoli 2 nel 2011 e Direttore Generale dell’IDI nel 2017.
La ribalta nazionale arriva però con la Croce Rossa, la più grande organizzazione di volontariato in Italia e nel mondo. Nel 2007 è capo del Dipartimento delle operazioni di emergenza. Nel 2010 emergono i conti in rosso dell’ente, gli sprechi, la malagestio che portano a uno scontro tra la componente militare e civile. Tutto il carrozzone del glorioso ente sembra sbandare sotto il peso di costi insostenibili. Nel 2016 arriva la legge Monti che lo riordina, Rocca sarà l’uomo della privatizzazione. Sono state scritte molte pagine su questa vicenda, con comitati locali (e pure le crocerossine) in rivolta, a denunciare tagli e soprusi tali da inficiare la stessa operatività dell’ente. Rocca resiste a tutto, e oggi rivendica i risultati: “Quando sono arrivato io nel 2009 la Croce Rossa costava allo Stato 210 milioni di euro ogni anno, oggi ne costa 60, meno di un terzo e siamo più forti e operativi di prima. E non si è perso neppure un posto di lavoro, perché il personale è stato trasferito in altre amministrazioni dove c’erano vuoti di organico”.
A chi mettesse in discussione il profilo del candidato-ministro, Rocca può controbattere che “la Croce Rossa si distinta durante il Covid, ha gestito numerosi hub vaccinali, fatto la campagna sulla siero-prevalenza, i tamponi alle stazioni gratuiti per tutta la popolazione per diversi mesi, ai viaggiatori presso le stazioni più importanti d’Italia…”. Così risponde l’interessato, qualora qualcuno insinuasse il contrario. Perché Rocca dentro e fuori la Cri continua ad avere molti nemici e molti amici. E certo non mancano quelli che contano. Per quattro anni, tra il 2013-2016, la sua vice è stata Maria Teresa Letta, sorella di Gianni Letta, il gran ciambellano del nuovo governo lato Forza Italia. Che potrebbe aver dato l’indicazione sul possibile ministro. Ma dimenticato di farglielo sapere.