Politica

Giorgia Meloni? Fatela governare, diventerà democristiana

L’Italia dal dopoguerra ha perseguito la strada dell’assorbimento dei fascisti tra i ranghi dello Stato. Il presidente del “tribunale della razza” divenne presidente della Corte costituzionale. Ciò ha dato vita a una particolare dialettica tra continuità e normalizzazione, come sa chi conosce il funzionamento di un argine che allo stesso tempo frena e assorbe.

L’alternativa che in queste ore, dopo l’elezione di La Russa a presidente del Senato e di Fontana a presidente della Camera, qualcuno vorrebbe profilare per i neo-post-fascisti (a chiacchiere, perché in realtà si è sempre pronti a cucinare insieme delle pietanze politiche escrementizie) è forse la loro espulsione? E l’accusa di fascismo ed eversione dell’ordine repubblicano è pronta a cadere non appena si intraveda il solito governo di larghe intese?

Meloni, Salvini, La Russa e compagnia (o camerata) devono governare. E non si dica che è lo stesso discorso, sbagliato, fatto con Berlusconi dal centrosinistra (“fatelo governare, si rovinerà da solo”), perché con Berlusconi c’era un vulnus che qui non c’è. Meloni non ha televisioni (conflitto di interessi), non ha procedimenti penali, non ha condanne. Semmai, per l’appunto, il problema riguarderebbe la presenza di Berlusconi, ma lì il fascismo non c’entra più, c’entrano le solite questioni appena menzionate e mai risolte proprio da coloro che spostano continuamente il fulcro per mettere certe discussioni su un binario morto e indurre l’opinione pubblica a parlare d’altro, da Peppa Pig al saluto romano, che pure fa orrore. E a proposito di quest’ultimo: si badi bene, qui non si sta sostenendo che non ci siano fascisti in Italia, che non ce ne siano in parlamento e che non ce ne saranno al governo. Al contrario, ci saranno, e lasceranno una scia escrementizia dai provvedimenti che approveranno fino alle solite dichiarazioni che ci toccherà risentire.

Ma devono governare. E non soltanto per la legittimazione democratica che gli promana dalle urne — senza tuttavia dimenticare che i voti di Giorgia Meloni non sono quelli del 26% degli italiani, né il 26% degli aventi diritto, ma il 26% dei votanti, e che invocare la volontà popolare di fronte a questi numeri è grottesco — ma per un motivo strategico: governare significa ridursi a più miti consigli, finirla di fare i barricadieri, cominciare a lavorare mentre l’Ue ti tira l’orecchio.

Meloni introietterà il vincolo esterno, farà le politiche economiche che deve fare secondo il diktat europeo e forse sotto l’ala protettrice di Mario Draghi. Potrà dare, da leader scaltra quale è, qualche spolverata di destra sociale, qualche provvedimento propagandistico, qualche specchietto per allodole. Ma governerà come una democristiana e anche nei toni cambierà atteggiamento, come si è visto già peraltro dalla sua tiepida partecipazione alla convention dei fascisti spagnoli di Vox.

S’ode intanto il tintinnare di cartelli e tazebao, l’invocazione della Grande Manifestazione Popolare contro il fascismo. La GMP, panacea di tutti i mali. Questo non vuol dire che la mobilitazione sociale non servirà. Ma se deve essere la solita sfilata di tromboni e madamine, che di sociale non hanno niente, allora no, grazie. La mobilitazione sociale la si faccia fare a chi ne ha donde, e se si riesce, in parlamento si interpretino le loro istanze, invece di inciuciare per governissimi. Ché non c’è niente di più ipocritamente truffaldino, come sapeva il Canetti di Massa e potere, del travestirsi da preda per meglio cacciarla. Che il parlamentare voglia giocare il doppio ruolo di rappresentante senza vincolo e di voce diretta è un cortocircuito a cui assistiamo da tempo: l’equivalente di una protesta contro se stessi.