Un nuovo audio di Silvio Berlusconi, applaudito dai deputati di Forza Italia, imbarazza definitivamente Giorgia Meloni e le sue ferme posizioni filo-atlantiche. Così tanto che la leader di Fratelli d’Italia lancia un ultimatum, arrivando a mettere in discussione la partenza del governo. L’inizio delle consultazioni al Quirinale rischia di essere il crepuscolo di un esecutivo mai nato. Tutta colpa di un secondo audio dell’ex presidente del Consiglio (ascolta) catturato martedì durante l’assemblea con i neo-eletti alla Camera e pubblicato da LaPresse: altri giudizi a ruota libera su Volodymyr Zelensky e le leadership occidentali, la sua ricostruzione di quanto avvenuto in Donbass negli ultimi otto anni e la sostanziale difesa di Vladimir Putin, con cui il leader di Fi si è scambiato regali e “lettere dolcissime” neanche un mese fa, spingono Meloni a reagire in maniera perentoria.
Il botta e risposta dopo l’audio – Questa volta la premier in pectore sceglie di intervenire in chiaro: “L’Italia è a pieno titolo, e a testa alta, parte dell’Europa e dell’Alleanza atlantica. Chi non fosse d’accordo con questo caposaldo non potrà far parte del governo, a costo di non fare il governo”, mette nero su bianco la presidente di Fdi. Più che una sfida è un dentro-fuori. Troppo gravi i pensieri di Berlusconi contenuti in quei quattro minuti: rischiano di incrinare i rapporti con le cancellerie europee e gli Usa. Di fronte a un pericolo simile, è il cuore del Meloni-pensiero, meglio far saltare tutto. L’ultima resistenza dell’ex presidente del Consiglio è affidata a una lunghissima nota rabbiosa a tarda sera nella quale, tra accuse di “dossieraggio” ai suoi e rivendicazione di 28 anni di “riferimento costante” all’Occidente, spunta in filigrana l’ennesima risposta all’alleata: “Nessuno, sottolineo nessuno, può permettersi di metterlo in discussione”.
Il non detto su Zelensky e le risate dei suoi – “Zelensky, secondo me… lasciamo perdere, non posso dirlo…”, aveva scandito per poi trattenersi il leader di Forza Italia tra gli applausi degli onorevoli. Poi riattacca la musica: “Quello che è un altro rischio, un altro pericolo che tutti noi abbiamo: oggi, purtroppo, nel mondo occidentale, non ci sono leader, non ci sono in Europa e negli Stati Uniti d’America. Non vi dico le cose che so ma leader veri non ce ne sono. Posso farvi sorridere? L’unico vero leader sono io…”, aggiunge Berlusconi in una critica tutt’altro che velata al presidente Joe Biden e ai vertici dell’Ue riguardo alla strategia adottata prima e dopo l’invasione voluta da Mosca. Frasi che rischiano di irritare i partner dell’Alleanza Atlantica e che mettono in difficoltà anche Antonio Tajani destinato a guidare il ministro degli Esteri secondo lo scacchiere provvisorio del nascente governo, se mai vedrà la luce. Non a caso l’ex presidente del Parlamento Ue ha annunciato che giovedì parteciperà al summit del Partito Popolare Europeo per “confermare la posizione europeista, filo-atlantica e di pieno sostegno all’Ucraina mia e di Forza Italia”.
“Se diceva ‘non attacco più’, finiva tutto” – Una necessità impellente dopo che il capo del suo partito ha in sostanza sposato la linea di un Putin costretto a intervenire a causa delle mosse ucraine, prima e dopo l’elezione di Zelensky. Di più: secondo Berlusconi, lo ‘zar’ sarebbe stato refrattario all’invasione ma avrebbe subito “pressioni da tutta la Russia”, era pronto a una guerra-lampo per sostituire Zelensky con “persone perbene e di buon senso”. L’ex premier ha quindi addossato la colpa del conflitto ancora in atto a due fattori. Primo: la decisione dell’Occidente di fornire subito supporto. Secondo: la scelta del presidente ucraino di rispondere all’attacco. “La guerra condotta in Ucraina è la strage dei soldati e dei cittadini ucraini – sono state le parole del leader di Forza Italia – Se lui diceva ‘Non attacco più’, finiva tutto (…). Quindi se non c’è un intervento forte, questa guerra non finisce”.
“Putin voleva mettere persone perbene” – Prima si era lanciato in una ricostruzione degli ultimi otto anni di rapporti tra Ucraina e Russia: l’Ucraina che ha “buttato al diavolo” gli accordi di Minsk e “comincia ad attaccare le frontiere delle due repubbliche” del Donbass facendo “5-6-7mila morti”. Quindi l’attacco diretto a Zelensky che “triplica gli attacchi”, circostanza che spinge – è la versione dell’ex Cav. – le due repubbliche a chiedere aiuto a Putin. A quel punto l’assoluzione del capo del Cremlino: “Lui è contrario a qualsiasi iniziativa, resiste, subisce una pressione forte da tutta la Russia. E allora si decide a inventare una operazione speciale: le truppe dovevano entrare in Ucraina, in una settimana raggiungere Kiev, deporre il governo in carica, Zelensky eccetera, e mettere un governo già scelto dalla minoranza ucraina di persone per bene e di buon senso, un’altra settimana per tornare indietro”. Una ricostruzione simile a quella che aveva già offerto a Porta a Porta poco prima del voto del 25 settembre.
Meloni: “Chiederò chiarezza a tutti i ministri” – Ma sulla strada verso Kiev si è trovato di fronte a “una situazione imprevista e imprevedibile di resistenza” da parte degli ucraini, che “hanno cominciato dal terzo giorno a ricevere soldi e armi dall’Occidente”. Inutile e inconsistente il tentativo di chiarire, attraverso una telefonata al direttore del TgLa7 Enrico Mentana, come le sue fossero parole derivanti alla “preoccupazione generale” riguardo al clima che “si è creato nel rapporto tra Russia, Europa ed Occidente”. La prima a non crederci è proprio Meloni, che smonta la debole linea difensiva dell’alleato e avvisa i papabili componenti dell’esecutivo: sulla fedeltà alla linea euro-atlantica chiederà “chiarezza a tutti i ministri di un eventuale governo” perché “la prima regola” di chi ha ricevuto “un forte mandato dagli italiani” è “rispettare il programma che i cittadini hanno votato”. Dopo il patto di via della Scrofa, collassato già nella giornata di martedì, la leader di Fratelli d’Italia mette un punto: di qua o di là, nessun bilancino né tentennamento. Altrimenti sarà estrema ratio. Non si parte neanche. Un guanto di sfida che, a leggere tra le righe della nota di risposta di B., non l’ha portato a sotterrare l’ascia di guerra.