Secondo la consigliera comunale di Reggio Emilia le parole della campionessa italiana di volley segnalano quanto la discriminazione, a livello sociale, venga spesso "derubricata con toni paternalisti e un po’ benevoli". "Rischiamo la diffusione di un linguaggio ostile che potrebbe generare, poi, crimini di odio"
“Quello di Paola Egonu è lo sfogo di una persona che non ce la fa più a sopportare continue micro aggressioni. E non si tratta di ignoranza, ma di razzismo”. Marwa Mahmoud è consigliera comunale a Reggio Emilia, presidente della Commissione consiliare “Diritti umani, pari opportunità e relazioni internazionali” e attivista della campagna per la riforma della cittadinanza “Dalla parte giusta della storia”. Commenta così le parole della pallavolista italiana al termine del mondiale di volley, che lasciavano pensare al ritiro (al momento incerto). “Basta, non puoi capire. Mi hanno addirittura chiesto perché sono italiana. Ora sono stanca. Questa è l’ultima partita che faccio con la Nazionale”, ha detto Egonu al suo agente Marco Reguzzoni. Poche ore dopo è arrivata un’altra voce, sempre sportiva. La velocista Zaynab Dosso ha denunciato di essere stata vittima di insulti razzisti mentre stava festeggiando la nuova casa, a Roma. Ha riferito che nessuno, fra i presenti, è intervenuto.
Marwa Mahmoud, cosa ci dicono questi ultimi due episodi?
Sono atti che spesso vengono derubricati con toni paternalisti e un po’ benevoli. Ma si tratta di un razzismo profondo, radicato, che forse è stato troppo spesso sdoganato anche dalla comunicazione istituzionale. Il fatto che siano indirizzati a persone che indossano la maglia azzurra della nazionale lo dimostra, ancora di più. Il problema però serpeggia nella quotidianità. Egonu è una campionessa a livello mondiale – di cui dovremmo andare orgogliosi – e può permettersi di dichiarare il problema, ma quante persone ci sono nella sua stessa condizione che non hanno lo stesso privilegio? È facile esprimere solidarietà nei confronti di persone famose come loro e poi voltare le spalle a chi subisce comportamenti del genere tutti i giorni.
Quali azioni ci aiuterebbero a fare un cambio di rotta?
A livello di comunità dovremmo prima di tutto calare l’ottica antirazzista nella quotidianità, includendola in tutte le nostre azioni. Di nuovo: non solo scandalizzarsi se viene insultato il campione olimpionico, ma anche quando viene colpito il vicino di casa. Soprattutto, bisognerebbe essere capaci di dire che abbiamo un problema di razzismo: è questa la cosa più difficile. Le scuole hanno un ruolo cruciale tramite l’educazione interculturale e la formazione dei docenti. Poi, certo, ci sono le istituzioni. Faccio un esempio: i comuni di Reggio Emilia, Torino e Bologna si stanno impegnando per definire un piano d’azione contro le discriminazioni locali e i crimini di odio. Si tratta di avviare anche collaborazioni con le forze dell’ordine, per prevenire eventuali disistime delle segnalazioni, che possono capitare. Sarebbe bene ampliare questo stesso piano a livello nazionale.
In Italia la materia è disciplinata dalla legge 91/1992, secondo la quale “acquistano di diritto alla nascita la cittadinanza italiana coloro i cui genitori (anche soltanto il padre o la madre) siano cittadini italiani”. Vige perciò il cosiddetto “ius sanguinis”.
Sì, ed è una legge datata che ormai ha compiuto trent’anni. Fu pensata per un Paese con circa 500mila stranieri e non considerava i figli di migranti: si rivolgeva ai migranti economici o agli italiani all’estero. Ora il tessuto sociale è cambiato. Si parla di seconda generazione, di terza. Un milione e mezzo di persone che vivono in questo Paese dall’infanzia, o che sono nate qui, non possono accedere alla cittadinanza. E non è giusto. Le decisioni a livello istituzionale hanno rilevanza e impattano sulla società. Il razzismo non sarebbe più legittimato: verrebbe difficile mettere in discussione la cittadinanza di una persona se quest’ultima fosse protetta dalla legge. Mancherebbero gli argomenti su cui fare leva.
Quali effetti potrebbero ricadere sulla società se non si interviene proponendo un cambiamento?
Se continuiamo a normalizzare questi atti aggressivi, che invalidano la vita di chi li subisce, finiamo per assuefarci e alzare il livello di tolleranza. Rischiamo la diffusione di un linguaggio ostile che potrebbe generare, poi, crimini di odio.
A breve prenderà corpo il nuovo governo, che sarà guidato dalla leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni. Prospettive?
Diamo al nuovo esecutivo il tempo di governare: così potremo capire cosa sono capaci di fare. Rimane però un punto. Il razzismo non è solo qualcosa di evidente e conclamato: non è solo il ginocchio sul collo di George Floyd. Razzismo è anche un sottofondo fatto di ingranaggi subdoli: una sorta di ostilità sottesa. È ignorare in modo sistematico una parte di pubblico, che diventa invisibile.