Politica

Sgarbi punta ai Beni culturali e si lancia nella disamina del fascismo: via con le panzane

di Enzo Marzo

Il “combattente” (cosi è definito dalla Verità da cui si è fatto intervistare il 3 ottobre), Vittorio Sgarbi è sceso scompostamente in campo, non ancora sazio della sconfitta inflittagli da un vecchio democristiano che, battendolo, ha acquisito il merito almeno di aver ridotto massicciamente il livello di turpiloquio nelle aule parlamentari.

Ma Sgarbi non demorde, smania come un ossesso in questi giorni per diventare ministro della Cultura o dei Beni culturali. E si fa intervistare dovunque e comunque. Per far vedere che lui sì che è “colto”. Il suo è uno sforzo ammirevole perché coloro che competono per la sua agognata poltrona (come sottolinea egli stesso) “non sono intellettuali, ma semplicemente ignoranti, nel senso che ignorano la storia e la cultura”.

Lui invece è un grande intellettuale e, dovendo leccarsi Giorgia Meloni, si lancia in una approfondita disamina del fascismo. E così mette sulla stessa bilancia le leggi razziali e l’Inps. Tanto per pareggiare i conti: “Il fascismo è stato un momento storico durato 20 anni, con pagine orrende come le leggi razziali e le limitazioni di libertà. Ma non è un fenomeno che possa essere ridotto all’olio di ricino e alla violenza. Il fascismo è stato anche la Treccani, l’Inps, l’Accademia dei Lincei”.

L’equiparazione è abietta. Degna dei neo-collaborazionisti che si collocano al livello Tajani: “ma nel fascismo c’era qualcosa di buono, per esempio i treni arrivavano in orario”, certo però che gli avversari politici venivano o assassinati o bastonati a morte o imprigionati…

Anche Sgarbi fa totalmente sua questa ignobile e ridicola panzana che la maggioranza di estrema destra tenterà di far diventare vera e propria vulgata, per distorcere la storia italiana con una narrazione ridicola. Anche Sgarbi, nella sua libidine di Poltrona Ministeriale, strafà e sciorina tutta la sua ignoranza grassa. E l’intervistatore se la beve non battendo ciglio. Ma come… ansima per diventare ministro della Cultura e non sa che la “Cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai” è del 1898 (Governo Pelloux) quando Mussolini aveva quindici anni?

Ma qui Sgarbi potrebbe obiettare: “sì, vabbè, in politiche sociali sono un somaro, mai io sbavo per il ministero della Cultura”. Certo, ma come si farebbe a sopportare un ministro “intellettuale” che ignora che la secentesca Accademia dei Lincei non va a merito del fascismo perché, dopo alcuni secoli di esistenza e fatta “italiana” da Quintino Sella nel 1874, fu proprio il fascismo a umiliarla e distruggerla, per poi incorporarla nella “Accademia d’Italia”?

Benedetto Croce non volle mai entrare nell’Accademia del regime (ma troppi cedettero) e si dette gran da fare per il ripristino dei Lincei nell’immediato dopoguerra proprio per rimediare a uno dei tanti misfatti del fascismo. Anzi, si può affermare che il trattamento riservato da Mussolini ai Lincei fu, assieme alla fine della libertà di stampa, l’atto massimo dell’asservimento della cultura del paese. Ma questo Sgarbi non lo sa perché “ignora la storia e la cultura” e involontariamente ce lo ricorda, autocandidandosi per il nuovo governo Meloni come ministro ideale: profano e arrogante.

Ps: però non è da sottovalutare la raccomandazione di Morgan: “Ho mandato un messaggio WhatsApp a Giorgia Meloni consigliandole Vittorio Sgarbi come ministro”. (Rai Radio 1 – 29 settembre 2022)…