Il report sull'attuazione della Convenzione di Parigi approva le riforme Orlando e Bonafede, che hanno aumentato le pene massime e i termini di prescrizione per la corruzione, mentre non commenta la legge Cartabia che rischia di vanificare quegli sforzi con l'improcedibilità. Elogi anche al pool specializzato della procura di Milano guidato da Fabio De Pasquale: "Ha trattato più casi di ogni altra Procura in Italia, ma sorprendentemente i colleghi lo criticano"
Apprezzamento per “i miglioramenti legislativi” realizzati dall’Italia nella lotta alla corruzione internazionale, tra cui “l’allungamento del termine di prescrizione per le persone fisiche, l’aumento delle pene carcerarie e delle sanzioni interdittive, l’introduzione di una tutela per i whistleblower”. Elogi anche all’opera dei magistrati italiani, che “nonostante gli scoraggianti ostacoli all’ottenimento di condanne, continuano a indagare e a perseguire” questo tipo di reati. Ma nel contempo “seria preoccupazione” perché quasi tutti i processi per corruzione internazionale instaurati in Italia si concludono con assoluzioni o patteggiamenti. Sono i giudizi del Gruppo di lavoro sulla corruzione dell’Osce (l’Organizzazione intergovernativa per la sicurezza europea) nel report di fase 4 che fa il punto sull’attuazione della Convenzione di Parigi sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri, ratificata dal nostro Paese nel 2000. Che però rimane un’arma spuntata – sostiene l’Osce – perché la legge italiana pretende che il reato sia dimostrato secondo le norme straniere, e i nostri giudici tendono ad tenere un “approccio restrittivo“, senza considerare le prove raccolte nel loro insieme. Per questo, nelle raccomandazioni finali, si chiede all’Italia di “adottare misure appropriate, inclusa la formazione delle autorità giudiziarie e se necessario la modifica della legislazione”.
Rispetto al precedente report, datato 2011, “il termine di prescrizione è aumentato” grazie a “una serie di modifiche legislative che hanno allungato il termine di base e il termine massimo”, scrive il Gruppo di lavoro. Una tabella mostra in particolare gli effetti della riforma Orlando del 2017 (che ha allungato i termini massimi per quasi tutte le fattispecie di corruzione, sospendendola a processo in corso) e quelli della “Spazzacorrotti” varata nel 2019 dall’ex ministro 5 Stelle Alfonso Bonafede, che ha aumentato a otto anni la pena massima prevista per la corruzione per l’esercizio delle funzioni, con il termine massimo di prescrizione che si è alzato così a 12 anni. Nessun commento ma solo una citazione, però, sull’improcedibilità introdotta dalla riforma Cartabia per i reati commessi dal 2020, che fissa – a regime – termini massimi di due anni e un anno entro cui concludere i processi di Appello e di Cassazione, pena l’impossibilità di perseguire il reato: una tagliola temporale che rischia di rendere inutili gli aumenti dei termini di prescrizione approvati negli anni passati.
L’Osce approva anche “la creazione del pool della procura di Milano specializzato in corruzione internazionale e altri reati economici internazionali”, guidato dal procuratore aggiunto Fabio De Pasquale, che “dimostra l’impegno dell’Italia a implementare la Convenzione e costituisce una buona pratica che andrebbe mantenuta”. Il gruppo di De Pasquale, si legge, “ha trattato più casi di corruzione internazionale di qualsiasi altra Procura in Italia”; tuttavia, il report nota come “sorprendentemente” alcuni colleghi pm milanesi “si siano lamentati delle troppe risorse assegnate al pool rispetto agli altri dipartimenti”, e del fatto che i suoi carichi di lavoro fossero “significativamente più bassi”. E ricorda lo scontro interno alla procura sul caso Eni-Nigeria, con la sostituta pg Celestina Gravina che ha “apertamente criticato” in udienza il lavoro dei colleghi pm di primo grado, parlando di un “enorme spreco di risorse”. Infine, il documento approva le leggi a tutela dei whistleblower approvate in Italia nel 2012 e nel 2017, ma chiede – come ha già fatto la nostra Autorità nazionale anticorruzione – il recepimento in Italia della direttiva europea del 2019, il cui termine è scaduto nel 2021.