Il Governo in questa XIX Legislatura non si è ancora insediato, ma la Destra ha già depositato una proposta di legge contro l’aborto. Il titolo del testo è il seguente: “Modifica dell’articolo 1 del codice civile in materia di riconoscimento della capacità giuridica del concepito”.
L’attuale art.1 prevede il riconoscimento dell’acquisizione della capacità giuridica, ossia della capacità di un soggetto a essere titolare di diritti e doveri o più in generale di situazioni giuridiche, dal momento della nascita. Il testo depositato durante la prima seduta del nuovo Senato punta, invece, a modificare il suddetto articolo del codice civile attribuendo “capacità giuridica” all’embrione fin dal concepimento, cioè dal momento in cui lo spermatozoo feconda l’ovulo.
Modificare l’art. 1 del codice civile in tal senso significa poter accusare di omicidio chi decide di ricorrere ad una interruzione volontaria di gravidanza. In breve: dare capacità giuridica all’embrione appena concepito è la negazione totale del diritto all’aborto. L’artefice di questo testo aberrante è Maurizio Gasparri. E, purtroppo, non si tratta della prima volta. Questo è il terzo tentativo. Alla faccia del “non toccheremo la legge 194” dichiarato più volte da Giorgia Meloni in campagna elettorale. Rassicurazione tempestivamente violata, ma non c’è da stupirsi. Il quadro è ormai chiaro: sono in arrivo tempi bui per le donne e i diritti civili.
L’attacco alla legge 194 del 1978 sull’aborto è costante e senza tregua, e per questa destra si traduce nel fatto che non c’è spazio per i diritti delle donne. Nemmeno davanti a una questione delicata e personale come l’interruzione di gravidanza si vuole garantire il diritto di scelta, come prevede la legge.
Sono passati, infatti, 40 anni da quando, nel maggio 1981, gli italiani si sono recati alle urne per validare la Legge 194, contro la quale era stato indetto un referendum. La norma in questione era arrivata nel 1978 e introduceva la possibilità di interrompere volontariamente e legalmente una gravidanza entro i primi 90 giorni dall’inizio della stessa. Prima di allora, una donna che abortiva rischiava fino a quattro anni di carcere e chi la aiutava addirittura cinque.
L’articolo 9 della stessa Legge 194 dice però anche che “il personale sanitario non è tenuto a prendere parte agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. L’obiezione di coscienza, si legge ancora nella legge, “esonera il personale dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.
Allo stato attuale dei fatti, un po’ in tutta Italia, ma in alcune regioni in particolar modo, la possibilità di dichiararsi obiettori di coscienza ostacola di fatto il diritto sancito dalla legge di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza. Secondo i dati del Ministero della Salute, in Italia sette ginecologi su dieci sono obiettori. Gli ultimi dati completi forniti dal Ministero della Salute risalgono al 2018 e vedono il 69% di medici attivi in Italia eticamente contrari a questa pratica, ma se si va a guardare nel dettaglio la situazione è ben peggiore.
Da una recente inchiesta, dal nome più che mai appropriato – “mai dati” – condotta dalla Dottoressa Chiara Lalli e dalla giornalista Sonia Montegiove, è emerso che su 180 strutture che hanno fornito informazioni (le altre si sono rifiutate), 31 hanno il 100% di medici e infermieri obiettori, 50 hanno oltre il 90% di obiettori, più di 80 sopra l’80%. Nel Molise c’è un solo medico non obiettore, ha 69 anni, vorrebbe andare in pensione, ma la Regione sta rimandando il suo pensionamento per evitare che le donne restino senza un presidio in caso di necessità di interruzione volontaria di gravidanza.
Oltre al caso molisano, in Sicilia sempre più donne sono costrette a varcare i confini regionali o persino a praticare aborti clandestini. Nelle Marche, dove il 71% dei medici è obiettore, la Giunta regionale ha rifiutato di recepire le direttive nazionali del 2020 sulla pillola abortiva nei consultori giustificando la scelta perché nella regione ci sarebbe un basso tasso di natalità. E questo per Giorgia Meloni sarebbe un “modello” per il Paese.
In Abruzzo Fratelli d’Italia ha presentato una legge per fare “il cimitero dei feti senza consenso dei genitori”. In Piemonte non è bastato aver dato il via libera alla presenza degli anti abortisti negli ambulatori dell’Asl e lo stop alla pillola Ru486 nei consultori, ma la Regione ha stanziato anche 400mila euro da destinare alle associazioni anti abortiste per aiutare le donne che ci ripensano e non interrompono la gravidanza.
La decisione, come immaginabile, è stata perorata da un assessore di Fratelli d’Italia “per garantire il diritto di scelta delle donne”. Come se una mancia offerta una tantum bastasse a mantenere un figlio. Avere un quadro chiaro dello stato di salute della legge 194 dunque non è facile.
Una cosa è però molto chiara: la legge 194 è ancora mal applicata o addirittura ignorata in molte aree del nostro Paese. In alcuni ospedali persino alcuni non obiettori eseguono solo ecografie oppure ci sono non obiettori che lavorano in ospedali nei quali non esiste il servizio di interruzione volontaria di gravidanza, e quindi non ne eseguono.
L’obiezione aveva un senso quando la legge è stata scritta: c’erano ginecologi già laureati prima dell’entrata in vigore della norma. A loro non si poteva imporre di praticare l’aborto. Ma oggi chi studia ginecologia è già a conoscenza della legge. Nessun ematologo obietta alle trasfusioni, o un dentista all’anestesia; perché devono valere regole diverse in ginecologia?
In base alla relazione al Parlamento sull’applicazione della Legge 194 in Italia nell’anno 2020, il numero di interruzioni volontarie di gravidanza risulta essere stato di 66.413 casi, con una riduzione del 9,3% rispetto al 2019. Il dato è in continua diminuzione dal 1983, anno in cui si è osservato il più alto numero di casi pari a 234.801.
In Italia, nonostante l’aborto sia legalizzato, solo il 60% degli ospedali con reparto di ostetricia ha un servizio di interruzioni volontarie di gravidanza. Questa situazione, aggiunta alla dilagante obiezione di coscienza, aggrava anno dopo anno il disservizio in molte Regioni, limitando di fatto il diritto alle scelte riproduttive e alla salute di molte donne che vivono nel nostro Paese.
Prima di tutto, allora, bisogna rendere effettivo il diritto all’aborto. Un buon modo per evitare l’aborto non è negare il diritto, ma è evitare gravidanze indesiderate. E questo si ottiene anche e soprattutto con l’introduzione in modo sistemico e continuo dell’educazione affettiva e sessuale a partire dai primi banchi di scuola. Io ci credo talmente tanto che in merito ho anche depositato una proposta di legge, perché educare significa prima di tutto prevenire. Informando le giovani generazioni, confrontandosi e parlando di più di contraccezione e prevenzione dalle infezioni sessualmente trasmissibili.
Serve poi sicuramente rafforzare la rete dei consultori e garantire personale medico non obiettore in ogni struttura pubblica, oltre ad avere dati chiari annuali su obiezione e garanzia del servizio.
La politica deve capire che le decisioni personali e private della persona devono essere sempre rispettate, in particolare per le questioni che attengono le scelte sul proprio corpo e alle relative scelte riproduttive. Dobbiamo batterci con forza affinché tutte le donne possano prendere queste decisioni in autonomia e responsabilmente, sia attraverso l’impegno per un’adeguata informazione sessuale e riproduttiva e per un reale accesso per tutte e tutti ai moderni metodi contraccettivi, sia per garantire il diritto all’interruzione di gravidanza, evitando che l’obiezione di coscienza possa limitare i diritti della persona.
A ogni donna deve essere garantita la libertà di decidere del proprio corpo e il diritto di accedere a un aborto sicuro, gratuito e libero da restrizioni valoriali. Perché ottenere un aborto è un servizio medico e non può essere una caccia al tesoro.