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Marracash all’Ariston per la targa Tenco: scavando dentro se stesso, e un po’ dentro ognuno di noi, il rapper ha messo d’accordo tutti

Un disco che scarnifica i cliché del genere e ne sublima l'essenziale, cioè la scrittura. Dentro c'è vita, poesia e terapia: è l'album della sua consapevolezza e nel quale Marracash rivendica quella libertà di essere che ritorna spesso in Noi, loro, gli altri. Interrogandosi, tra psicanalisi e amore, su dove sta andando in questi "giorni stupidi" la "razza più intelligente". Un viaggio profondo nel profondo, premiato da critica e pubblico

di Andrea Tundo

Il rap in una nuova era, con un disco che scarnifica i cliché del genere e ne sublima l’essenziale, cioè la scrittura. Marracash ritira oggi la Targa Tenco, meritatissima: Noi, loro, gli altri è l’album più bello dell’ultimo anno. Dentro c’è vita, poesia e terapia. Ci sono canzoni come Dubbi e Noi, dove è esercizio difficile riuscire a estrapolare pezzi di testo per chiarire di quanta qualità Fabio Rizzo abbia impastato nel suo ultimo lavoro.

Senza mai tradire il rap, il cantante nato in periferia arriva a criticarne spericolate evoluzioni e derive come in Pagliaccio, dove prende di mira i giovani trapper tutti social e violenza (L’unico reato che hai fatto è rubarmi il flow/Ora che il livello è più basso del tuo plafond/Se vi chiudono tutti in una stanza a fare i maranza/Bro, ce n’è abbastanza per fare la nuova stagione di LOL). Rifugge anche il giro più mainstream dello star system musicale, tra l’influencer e altro, in Cosplayer (Dio proteggimi da loro/Da quelli che d’estate si commentano in spagnolo/Dal logo per la foto per la promo per la FOMO/Da quelli che non vanno a tempo e hanno un bell’orologio/Dai rapper con il botox). Ed è proprio in Cosplayer che l’album vira verso la parte più intima, nuova, vibrante. Anticipato da Io (Soffocati gli idealismi, condannati a non capirci/Forse è questo, forse siamo solo più egoisti/Forse un cane, niente figli/Forse niente ha senso), il trittico Dubbi, Laurea ad honorem e Noi è il cuore dell’exploit di Marracash.

Tre testi dove si mescolano – e sintetizzarli è eretico – il senso dell’amore (Cioè stringere una cosa forte fino a soffocarla?/Un gioco in cui mi faccio male o faccio male a un’altra), la ricerca della radice dei problemi nell’inconscio (Ora lei è il mio strizza, dice che la normalità mi terrorizza/Che non c’entri proprio la famiglia?/Anni fa, cazzo, sarei crepato dal ridere/Non temo la morte, ma ho paura di non vivere), la capacità di non deragliare pur tra le difficoltà (A tutti i ragazzi disastrati/Venuti su dritti/Che vivono in case cadenti/Fra le rovine delle loro famiglie/Una laurea ad honorem) e l’autobiografia che avvolge dalla prima all’ultima strofa Noi, dove è raccolta tutta l’infanzia e l’adolescenza nel quartiere milanese Barona con una raffinatezza e una densità stupefacente di riferimenti, anche di cronaca come la sparatoria di viale Faenza del maggio 1998.

È l’album della sua consapevolezza, quella di essere il rapper più forte in Italia, e nel quale Marracash rivendica tutto se stesso, quella libertà di essere che ritorna spesso tra le tracce di Noi, loro, gli altri. Interrogandosi, tra psicanalisi e amore, su dove sta andando in questi “giorni stupidi” la “razza più intelligente, non così intelligente da far uso cosciente della libertà”. Stiamo prendendo una direzione sbagliata o è solo un periodo? La convinzione di fondo è che ci stiamo dividendo (Noi, loro, gli altri, appunto) finendo per perderci. Un paradosso, nell’era in cui ognuno può rivendicare di essere se stesso (ma non di essere povero, rimanendo escluso). “Oggi che tutti lottiamo così tanto per difendere le nostre identità/Abbiamo perso di vista quella collettiva/L’abbiamo frammentata”, condensa Marracash in una delle vette più alte del suo album. Il migliore, il più maturo. Lo dicono gli oltre 200mila spettatori del tour e la giuria del Tenco. Un viaggio profondo nel profondo, premiato da critica e pubblico. Scavando dentro se stesso, e un po’ dentro ognuno di noi, Marra ha messo d’accordo tutti.

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