Non vuole somigliare a una di quelle kermesse cinematografiche di massimo splendore affollate da celebrità in marcia su chilometrici red carpet. Il Rosarno Film Festival – Fuori dal ghetto – che dal 14 al 16 ottobre ha animato la Piana di Gioia Tauro, in Calabria – ha un’ossatura diversa, militante. Definita dagli stessi organizzatori “sgarrupata”, questa rassegna di cortometraggi non volge lo sguardo a un altrove lontano e patinato, ma guarda da vicino alla questione dell’iniquo sistema del caporalato, che porta inevitabilmente con sé violazione dei basilari diritti umani e incassi illeciti per la criminalità organizzata e gli imprenditori che sfruttano il sommerso. Facendo da potente megafono alla voce flebile di una comunità ai margini – composta da migranti e non – le dieci opere in concorso hanno posto al centro dell’attenzione il racconto della vita da rider, la storia operaia dei Cantieri Navali di Palermo, e le esperienze degli ospiti dei centri di accoglienza e delle vittime di precarietà, agro-mafie e disoccupazione. La giuria, composta da cinque lavoratori-braccianti provenienti dall’Africa ha assegnato il primo premio – consistente in una cassa di prodotti locali provenienti da filiera etica, tracciata e senza sfruttamento – al corto La giornata di Pippo Mezzapesa (incentrato sulla storia di Paola Clemente, morta di fatica in Puglia nel 2015) e il secondo a Dipende tutto da te di Daniele Ceccarini. Dice Chiara Sasso della ReCoSol, Rete delle comunità solidali, una delle realtà promotrici dell’evento, insieme a SosRosarno e Mediterranean Hope : “È stato emozionante vedere che lo sguardo della giuria abbia incontrato quello di due film che raccontano lo sfruttamento lavorativo degli italiani. A evento concluso posso ribadire con maggiore convinzione che l’unione fra le associazioni del territorio e quelle nazionali, aiuta a superare ogni penosa e ormai ridicola divisione, e a creare qualcosa di bello. Il nostro non vuole minimamente essere un festival glamour, ma una fabbrica di sogni, uno strumento di indagine sociale e un supporto conoscitivo fra culture diverse”. Una prima edizione andata ben oltre le aspettative, che ha ottenuto il prestigioso endorsement del regista e attivista Ken Loach, che si è fregiata della presenza dell’agroecologista militante Blandine Sankara (sorella più giovane di Thomas, padre della rivoluzione burkinabé assassinato durante il colpo di Stato del 1987), e che nei due giorni di proiezione e assemblee – ma anche oltre – è stata protagonista del mare magnum dell’informazione e dello scroll online, come spiega Francesco Piobbichi, operatore di Mediterranean Hope: “Questo festival è stato molto apprezzato anche dal Web perché ha rappresentato un’anomalia. Non è stata la classica rassegna, ma un laboratorio innovativo – a costo ridotto, pari quasi a zero – che ha voluto dimostrare quanto sia importante l’antica pratica del rispetto della dignità dei lavoratori. Abbiamo, non a caso, scelto di utilizzare per la locandina un’arancia ché – oltre a essere il simbolo dei braccianti della Piana – è l’emblema di tutte le attività locali che permettono alle persone di fuoriuscire dal ghetto. Dal Rosarno Film Festival parte un messaggio importante: si può intervenire sul piano culturale con un evento cinematografico – in un territorio complesso come il nostro – per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’annosa questione della manodopera dequalificata, e richiamare così la grande distribuzione della filiera agricola alla responsabilità sociale di impresa”.