Si chiama Steven Spielberg, ma il suo vero nome è Cinema. Più precisamente il Grande Cinema Americano. Un’equivalenza da decenni dichiarata, ma che il suo nuovo film, The Fabelmans, esalta e radicalizza in pienezza. Autobiografia infantil-adolescenziale attesa da tempo, presentata in prima mondiale al festival di Toronto dove ne è uscita in trionfo, è arrivata finalmente in premiere italiana alla Festa del Cinema di Roma in collaborazione con Alice nella Città, vero diamante all’occhiello di quest’edizione, antipasto per la grande uscita nelle sale prevista il 22 dicembre.
The Fabelmans è una pellicola girata in 8, 16 e 35mm straordinaria nel senso più pieno del termine, perché (com)porta una ricchezza di contenuti legati all’Arte Cinematografica da assorbirne e restituirne la sua essenza, mettendo in scena le ragioni di chi la realizza e di chi ne è spettatore in sala, luogo di condivisione del Sogno collettivo alla sua massima celebrazione. Romanzo di formazione di sé, ma applicabile a qualunque bimbo/adolescente determinato a realizzare la propria vocazione, il film è un viaggio nella vita Spielberg ragazzo attraverso l’alterego Sammy Fabelman costruito come la grande narrazione del cinema classico Made in Usa, ma anche come una intensa storia d’amore con il cinema stesso nata con un terrificante e meraviglioso colpo di fulmine. Aprendosi nel 1952, Sam/Steven ha appena sei anni quando i genitori lo portano al cinema la prima volta: sul grande schermo scorrono le scene de Il più grande spettacolo del mondo di Cecil B DeMille. Il bimbo ne esce sconvolto, turbato e sedotto, specie nella scena di deragliamento e scontro del treno con un veicolo. La vorrebbe ripetere con il trenino regalatogli dal padre (Paul Dano), ma la scoperta di poterla filmare che una piccolissima super8 regalatagli dalla mamma (Michelle Williams) gli apre gli occhi per non farglieli più rinchiudere sul potere delle “immagini in movimento”.
Che si possono vedere, rivedere e rivedere ancora, facendo rivivere le medesime emozioni per fissarle finalmente tra i propri ricordi. La “scatola magica” diviene la sua magnifica ossessione, gira filmini amatoriali usando le sorelline (e poi allargandosi ai genitori, amici, compagni di classe..) come attrici/cavie, operette rudimentali ma che già denotano un preciso senso dell’inquadratura, una spiccata sapienza narrativa, un attitudine al montaggio classico. Passano gli anni e Sam/Steven adolescente (l’ottimo Gabriel LaBelle) arriva al 1964, fra traslochi, separazioni, segreti rivelati, delusioni, gioie, sconfitte, insomma ciò che normalmente accade in un’esistenza qualunque ma con un punto fermo: tutto passa tranne la passione per il Cinema, che resta l’unica certezza.
Scritto col drammaturgo Premio Pulitzer Tony Kushner, storico collaboratore del regista e candidato all’Oscar per le sue sceneggiature di Lincoln e Munich, e fotografato dal talento di Janusz Kaminski, The Fabelmans è una profonda e lunghissima (oltre 150’ che volano di gioia) lettera d’amore indubbiamente al Cinema ma anche alla propria famiglia che a suo modo l’ha sempre incoraggiato, e ispirato: da una parte la madre pianista pazzerella e frustrata, dall’altra il padre ingegnere, amabile e determinato. Ma questo capolavoro è anche formalmente radicale ed esemplare rispetto al meta-cinema, altrimenti detto cinema-nel-cinema, poiché ogni piccolo film girato dal “piccolo” Spielberg è un omaggio ai diversi generi americani: il western, l’horror, la fantascienza, il war movie, il melodramma, la commedia, il teen-movie, il tutto in una sinfonia in crescendo che ci fa capire – e sentire – la forza catartica e rivelatrice del Sè della visione di un film, laddove noi pubblico siamo specchiati sul grande schermo illuminato. E ancora, l’inesauribile magia del Sogno, la prodigiosa capacità di cogliere la verità attraverso finzione, ed infine la potenza del cinema visto in sala come esperienza di condivisione e formazione di una comunità. Senza dimenticare un favoloso finale a sorpresa a chiusa di un’immersione di emozioni immaginifiche portatrici di risate e lacrime. Insomma, The Fabelmans è un ennesimo folgorante capolavoro di Spielberg, il suo lavoro più personale e “cinematografico”, da scommetterci per i prossimi Oscar e per la Storia del Cinema Americano, che da esso non potrà prescindere.