Il settimanale britannico sostiene che "il paragone" tra Italia e Gran Bretagna "è inevitabile" ora che il Paese si ritrova, per colpa del governo conservatore, impastoiato dall'instabilità politica e dalla bassa crescita e succube dei mercati obbligazionari
La premier britannica Liz Truss con in mano una “lancia” a forma di forchetta, con tanto di spaghetti, e uno “scudo” di pizza margherita decorata con le croci della bandiera del Regno Unito. E’ la caricatura che campeggia sulla prima pagina del nuovo numero del settimanale britannico The Economist (di cui la Exor della famiglia Agnelli-Elkann ha il 43%) sotto il titolo esplicativo “Welcome to Britaly”. Una scelta che molti hanno giudicato insultante per l’Italia e che sta dunque scatenando polemiche sui social.
“Nel 2012 Truss e Kwasi Kwarteng (ex ministro del Tesoro ndr), autori del pamphlet Britannia Unchained, usavano l’Italia come un avvertimento“, spiega l’articolo. “Servizi pubblici gonfiati, bassa crescita, scarsa produttività: i problemi dell’Italia e altri Paesi dell’Europa del Sud erano presenti anche in Gran Bretagna. Dieci anni dopo, nel loro fallito tentativo di cambiare percorso hanno contribuito a rendere il paragone inevitabile“, sostiene l’Economist, evidenziando che il Paese è ora impastoiato dall’instabilità politica e succube dei mercati obbligazionari.
Come è noto, la premier conservatrice è appesa a un filo, con diversi parlamentari Tory che le chiedono di farsi da parte dopo la debacle del “mini budget”: nei giorni scorsi, viste le violente reazioni dei mercati seguite alla presentazione di una “manovrina” di tagli alle tasse da 45 miliardi di sterline senza coperture, ha dovuto cacciare il ministro del Tesoro Kwarteng sostituendolo con Jeremy Hunt, che ha subito promesso di cancellare tutte le misure annunciate dal predecessore.
Il settimanale britannico in una lunga premessa si premura di sottolineare che il paragone con l’Italia è in realtà “inesatto” perché la Gran Bretagna gode di uno stato di salute assai migliore: tra 2009 e 2019 il tasso di crescita della produttività è stato “il secondo peggiore del G7, ma l’Italia ha fatto molto peggio“, oltre al fatto che “la Gran Bretagna è più giovane e ha un’economia più competitiva“. Poi aggiunge che “i problemi dell’Italia derivano, in parte, dall’essere dentro il club europeo”, senza spiegare in che senso, “quelli della Gran Bretagna dall’essere fuori”. Inoltre “il mercato pensa che abbia molte meno chance di default rispetto all’Italia”. Eppure “Britaly cattura qualcosa di reale: la Gran Bretagna si è avvicinata molto all’Italia in anni recenti da tre punti di vista”.
Ovvero, appunto, la crescente instabilità politica, la crescita che langue e la crescente necessità di tener conto del giudizio dei mercati, che hanno bocciato senza appello le ricette della politica che ha sostituito Boris Johnson costretto a dimettersi dopo le ripetute bugie sul Partygate e gli scandali interni al partito. “In primo luogo, e ovviamente, l’instabilità politica che prima contraddistingueva l’Italia ha completamente contagiato il Regno Unito. Dal 2015, la Gran Bretagna ha avuto quattro primi ministri (David Cameron, Theresa May, Boris Johnson e la signora Truss), come l’Italia”, si legge. “È probabile che i due Paesi procedano di pari passo nel prossimo futuro. Giorgia Meloni dovrebbe prestare giuramento come nuovo primo ministro a Roma, il futuro della signora Truss non potrebbe essere più precario”.
“In secondo luogo, proprio come l’Italia è diventata il giocattolo dei mercati obbligazionari durante la crisi dell’eurozona, ora sono loro a comandare visibilmente in Gran Bretagna”, denuncia il giornale, che paragona il “licenziamento” di Kwarteng alla fine di Silvio Berlusconi nel 2011 dopo lo scontro con Bruxelles e Berlino. “Proprio come gli italiani si preoccupano dello spread tra i titoli di Stato di riferimento e i Bund, così i britannici hanno avuto un corso accelerato su come i rendimenti dei titoli di Stato influenzino tutto, dal costo del mutuo alla sicurezza delle loro pensioni”, scrive l’Economist.
Infine, e questo è il terzo elemento che avvicina i due Paesi, “il problema della bassa crescita della Gran Bretagna è diventato più radicato. La stabilità politica è un prerequisito per la crescita (…) Quando i cambi di leader e di governo sono sempre dietro l’angolo, la pantomima e la personalità sostituiscono la politica. Johnson è stato soprannominato “Borisconi” da alcuni; continuando ad aleggiare sulla scena politica, potrebbe rendere questo paragone ancora più netto”. Tuttavia in Gran Bretagna “l’instabilità politica è ormai una malattia di un solo partito”: “I Tories sono diventati quasi ingovernabili, corrosi dalla Brexit e per la stanchezza di 12 anni di potere. La signora Truss ha ragione nell’individuare nella crescita il problema principale della Gran Bretagna. Tuttavia – chiosa l’Economist – la crescita non dipende da piani fantasiosi e da grandi colpi di scena, ma da un governo stabile, da una politica ponderata e dall’unità politica. Nella loro attuale incarnazione, i Tories non sono in grado di fornirla”.