La mobilitazione “parziale” annunciata a settembre da Vladimir Putin è stata un duro colpo per la popolazione russa. Circa 700mila russi hanno lasciato il Paese, mentre i sondaggi rivelano che per la stragrande maggioranza di coloro che sono rimasti (quasi il 70%) l’emozione predominante è l’ansia. Dal punto di vista organizzativo, la mobilitazione è stata un disastro: le convocazioni arrivavano alle famiglie numerose, ai disabili, ai pensionati, alle donne e persino ai morti, e le reclute dovevano provvedere da sole dell’equipaggiamento necessario per il fronte. Come conseguenza, sono scoppiate proteste locali e la popolarità del presidente è diminuita.

Sullo sfondo del malcontento popolare, appena due settimane dopo l’annuncio della mobilitazione, alcune regioni della Russia hanno iniziato ad annunciarne la conclusione. Allo stesso tempo, l’appello non si è ufficialmente concluso: Putin, anche se ha promesso verbalmente che la mobilitazione sarebbe stata finita entro la fine di ottobre, non ha ancora firmato un decreto in merito.

“A Mosca popolazione frustrata” – Ad esempio, a Mosca (a cui, secondo Viktor Sobolev, membro del Comitato per la difesa della Duma di Stato, era stato già “dato un piano microscopico” che comunque era completato solo “al 50%”), la mobilitazione si è ufficialmente conclusa il 17 ottobre. Il sindaco della capitale, Sergei Sobyanin, ha riconosciuto che “la mobilitazione è diventata una sfida enorme per migliaia di famiglie di Mosca“, mentre fonti del media di opposizione Meduza vicine al Cremlino hanno spiegato la decisione con il fatto che, secondo le autorità, “la popolazione della capitale era frustrata” (tra l’altro, dalla caccia dei giovani uomini per le strade, vicino alle stazioni della metropolitana, negli alberghi e agli ingressi di palazzi residenziali, organizzata dalla polizia in ottobre).

Per lo stesso motivo, nei prossimi giorni, si prevede di fermare la mobilitazione anche a San Pietroburgo. Tuttavia, anche dopo la dichiarazione di Sobyanin, le persone continuano a ricevere convocazioni. E in altre regioni russe, le autorità avvertono persino dei piani per “raggiungere la quota” di mobilitati e di una “seconda ondata“. Così, alla fine di settembre, il governatore della regione di Rostov ha annunciato che la regione stava completando la mobilitazione, poiché aveva “praticamente portato a termine” il suo compito. Tuttavia, due settimane dopo ha annunciato che la regione aveva ricevuto un “nuovo compito di mobilitazione” e le commissioni di leva avevano già iniziato ad attuarlo.

Problemi di approvvigionamento – Dall’annuncio della mobilitazione, sui media e sui social network russi sono apparse molte prove sulla scarsa logistica dell’esercito. I mobilitati si lamentano di essere costretti ad acquistare le proprie attrezzature, medicine, mangiare a proprie spese e, in alcuni casi, dormire per terra. Alcuni delle reclute vengono collocate in edifici inabitabili privi di riscaldamento e servizi igienici, altri addirittura costretti a passare la notte all’addiaccio. Su Internet compaiono i video in cui si consiglia ai coscritti di occuparsi dell’acquisto di disinfettanti, lacci emostatici e assorbenti per fasciare le ferite. Allo stesso tempo, i parenti, i vicini e i volontari raccolgono per loro calze calde, guanti e cappelli.

Anche i rappresentanti delle autorità non negano le difficili condizioni in cui si trovano i mobilitati: il governatore della regione di Kursk che si trova al confine con l’Ucraina, Roman Starovoit, ha definito alcune strutture militari dove sono stati collocati i mobilitati “semplicemente terribili”. A proposito, dall’inizio della mobilitazione nei centri di addestramento e nelle basi militari del ministero della Difesa, sono già morte (non facendo ancora in tempo a raggiungere il fronte) almeno 18 reclute. Alcuni di loro avevano problemi di salute, aggravati dalle condizioni difficili nei centri di accoglienza temporanea, altri si sono suicidati o sono morti a causa di risse e in altre circostanze sconosciute.

In generale, la mancanza delle infrastrutture necessarie per convocare, addestrare, equipaggiare e inviare un gran numero di persone al fronte è solo uno dei motivi per cui in Russia non è stata annunciata una mobilitazione generale. Ma, evidentemente, anche per una mobilitazione “parziale” le forze armate russe non hanno risorse sufficienti. Probabilmente, le lamentele che dovrebbero destare più preoccupazione sono quelle che riguardano la qualità dell’attrezzatura: i giubbotti antiproiettile bucati, fucili, munizioni e granate arrugginite. Nel frattempo, anche quelle reclute che sono già vicine alla zona di combattimento segnalano una carenza del minimo indispensabile.

I primi decessi – Ma ancora più importante, nonostante le assicurazioni del presidente che prima di essere inviati al fronte, i mobilitati subiscono un addestramento militare per due o tre settimane, a giudicare dalle storie degli stessi militari e dei loro parenti, le reclute arrivano quasi immediatamente in prima linea. Alcuni di loro non partecipano a esercitazioni militari, non vengono sottoposti a una commissione medica e non seguono alcun addestramento primario. C’è anche chi viene mandato al fronte dopo un giorno di addestramento. Ad esempio, la moglie di un mobilitato di 45 anni di Lipetsk racconta che suo marito con circa un migliaio di suoi colleghi sono stati inviati nel Donbass due giorni dopo la registrazione presso l’ufficio di arruolamento della loro città.

Alcuni mobilitati si sono trovati quasi immediatamente prigionieri degli ucraini. Il 13 ottobre, le autorità russe hanno riferito per la prima volta la morte di cinque mobilitati dalla regione di Chelyabinsk “nella zona di un’operazione speciale nel Donbass“. Il servizio russo della Bbc, riferendosi alle parole dei loro parenti, sostiene che anche essi sono finiti al fronte senza alcuna preparazione. Lo stesso giorno, in Ucraina è morto un funzionario di Mosca di 28 anni. La vicedirettore capo dell’agenzia statale Rossiya Segodnya, Natalya Loseva, ha scritto di lui: “Esperienza di combattimento zero. È stato mandato al fronte nel giro di pochi giorni”.

Poi sono iniziati ad apparire rapporti ufficiali sulla morte dei mobilitati dal territorio di Krasnoyarsk, da San Pietroburgo, dalla regione di Rostov. L’assistente del presidente della Duma di Stato Vyacheslav Volodin Anastasia Kashevarova ha riassunto il risultato provvisorio della mobilitazione: “Ragazzi non addestrati vengono gettati in prima linea. Chelyabinsk, Ekaterinburg, Mosca: le bare di zinco stanno già arrivando”. Al momento si sa della morte di almeno 14 russi mobilitati e la mobilitazione è ancora lontana dal completamento formale.

Visto che uno dei motivi principali delle recenti sconfitte dell’esercito russo è stata proprio la mancanza di uomini, i mobilitati sono stati immediatamente mandati in prima linea. Ad esempio, ci sono prove che siano finiti quasi immediatamente nelle regioni di Luhansk e Kherson. Tuttavia, gli esperti concordano sul fatto che è improbabile che un afflusso di reclute non addestrate, sebbene numerose, salverà la situazione. Gli uomini che non hanno mai tenuto in mano le armi non potranno trasformarsi in un esercito attivo in breve tempo e competere seriamente con le forze armate dell’Ucraina sul campo di battaglia. Questo è anche il motivo per cui gli analisti dell’organizzazione investigativa Conflict Intelligence Team prevedono che il tasso di mortalità tra i mobilitati sarà più alto che tra i soldati regolari durante la primavera e l’estate di quest’anno.

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