Giovedì 29 settembre siamo stati invitati a Welcome to the metaverse: Digital fun & Virtual strategies organizzato da MISOM: Milano School of Management, presso il Dipartimento di Informatica dell’Università degli Studi di Milano.
Una tavola rotonda, moderata da Luca Tremolada (scrittore di innovazione e tecnologia per il Sole 24 ore e fondatore di Info Data), che ha guardato al metaverso concentrandosi, soprattutto nella prima parte, sul gaming, senza la quasi onnipresente patina di ottimismo a tutti i costi. Negli ultimi anni le aziende e i grandi brand sono sempre più interessati al mondo del gaming e sicuramente non c’è da stupirsi, soprattutto dopo i numeri da capogiro registrati durante la pandemia.
Welcome to the metaverse è stata una conferenza piena di spunti di riflessione e che quasi ha fatto sorridere chi videogioca da un paio di decenni: gran parte del giornalismo sembra aver scoperto il metaverso solo con Meta, ma nel mondo dei videogiochi, soprattutto nel sotto insieme degli MMORPG, è un concetto talmente abituale e assodato da essere visto come mera formalità. Certo, dal punto di vista del puro business, degli incontri d’affari o dello smart working, il metaverso come viene inteso nell’ultimo periodo può anche risultare qualcosa di nuovo e per molti mai visto, ma i gamer ci sguazzavano dentro già nel ’98 con Ultima Online, che tra l’altro aveva delle interazioni con il mondo e con gli altri giocatori che certi prodotti di oggi non hanno.
Non si parlava neanche di caschi per la realtà virtuale o di viverlo in prima persona ai tempi e andando avanti con gli anni neanche su altri “metaversi” più nuovi come potevano esserlo Ragnarok, Lineage o World of Warcraft, per citarne solo alcuni tra i più famosi, ma già con Roblox qualcosa è stato mosso.
I grandi brand commerciali stanno guardando sempre con più interesse questo mondo, aldilà delle collaborazioni con i team di esports dei quali abbiamo esempi infiniti già da anni. Il problema, se così possiamo chiamarlo, è che l’esport in Italia non è ancora così radicato come business, ma in oriente i giocatori professionisti di League of Legends e Dota2 sono visti alla pari dei calciatori.
Nel 2020 è arrivatata la pandemia, le industrie si sono dovute scontrare per forza di cose con il mondo virtuale: Nintendo si è accorta che intere multinazionali stavano cominciando a creare vere e proprie isole brandizzate sul loro appena uscito Animal Crossing e le antenne si sono finalmente drizzate.
Metaverso: opzioni e criticità
Le aziende cominciano a studiare seriamente il metaverso e il mondo del gaming, soprattutto per quanto riguarda le strategie di engagement. Si parla di 3,4 miliardi di gamers nel mondo, molti dei quali con un interessante potere di acquisto, una community che di certo non si può lasciare sfuggire.
Analisi dei consumatori, creazione di eventi virtuali coinvolgenti e la ricerca del giusto linguaggio per approcciare questi potenziali clienti saranno tra i punti focali del business del futuro. Le cifre che ogni anno diffonde IIDEA sull’andamento del mercato videoludico, del resto, non sono certo una novità e, soprattutto, non sono di certo spiccioli.
Nonostante questo c’è ancora più di un occhio critico su questo mondo e l’intervento di Fabio Mosca, co-fondatore di Another Reality, ne fornisce un esempio abbastanza lampante, dicendo che quando si presentavano da un potenziale cliente come compagnia di videogiochi che crea app “serious” in realtà virtuale, ne decretavano la fuga nella maggior parte delle volte.
Aziende come Reale Mutua Assicurazioni, invece, nel frattempo, stanno creando un vero e proprio Lab interno per studiare queste realtà e capire le opzioni di engagement; a questo si aggiungono gli investimenti enormi che le multinazionali come Meta, Google, Microsoft e Amazon stanno facendo in quella direzione, prevedendo nei prossimi dieci anni un business intorno agli 1,4 triliardi di dollari.
C’è insomma molto ottimismo nell’aria, ma rimangono ancora le criticità: si è già parlato di evidenti problemi infrastrutturali in Italia quando si tratta di metaverso tra connessioni non adeguate e la necessità di avere computer e apparecchiature VR di una certa fascia per potervi accedere agilmente.
Durante la tavola rotonda di MISOM si è leggermente ampliato il discorso, racchiudendo problematiche che riguardano un po’ tutti aldilà dell’appartenenza geografica, ma che in qualche modo possiamo collegare a quelle che già ben conosciamo: uno dei fattori che fa storcere ancora il naso ai più è la grafica stessa dei metaversi creati negli ultimi anni per fare business, ancora raffazzonata e che poco permette una vera e propria immersività. Cosa che si ricollega facilmente anche ad apparecchiature e infrastrutture: più la definizione è alta, maggiore è il numero di poligoni necessari, maggiore dev’essere la potenza del terminale per poterci accedere senza latenza, senza parlare delle connessioni. Non per niente Roblox e Decentraland hanno messo veri e propri picchetti al numero di poligoni disponibili per la costruzione.
Grafica ancora inconsistente, costi d’accesso richiesti a causa delle apparecchiature e infrastrutture a parte, non ci vuole molto ad intuire qual è il prossimo punto critico: la partecipazione. Eventi su Centraland sono andati praticamente deserti, poca interazione con il mondo circostante se non qualche QR code linkato a pagine e video, lag e tempi di caricamento insopportabili fanno capire che di strada da fare ce n’è ancora.