Oggi il brand Curiel è di proprietà della holding cinese Redstone che lo ha acquisito nel 2016 e lo ha reso un punto di riferimento della moda Made in Italy in Cina. A oggi, paradossalmente, lì conta oltre 30 boutique mentre in Europa non vi sono (al momento) più punti vendita. Ma nonostante il core business sia oggi nel Paese del Dragone, il cuore pulsante di Curiel resta in Italia
Gigliola Curiel è stata negli anni Cinquanta la Coco Chanel italiana. Come Mademoiselle, anche lei si distingueva per le creazioni e la personalità. Icona di stile, eleganza e sofisticatezza è stata capace di conquistare con i suoi abiti i grandi nomi non solo dell’aristocrazia e della borghesia industriale ma anche l’élite artistica dell’epoca. Con loro condivideva le serate mondane nei salotti più esclusivi della Milano “bene”, sfoggiando i suoi capi come una influencer ante litteram. Dettò la moda del secondo Dopoguerra, raggiungendo il successo sullo slancio dell’entusiasmo e del fermento degli anni del boom economico; ma soprattutto consacrando un’alta moda in perfetto stile “La Dolce Vita”. La sua sartoria artigianale era all’avanguardia non solo per i modelli che realizzava, ma perché costituiva un’impresa assolutamente al femminile : guidata da una donna al servizio di altre donne. Anche lei, come Chanel, perseguiva un ideale di bellezza femminile raffinato e classicheggiante, perfetto per le donne dell’alta società che facevano a gara per esser vestite da lei, sopratutto per l’appuntamento d’ eccellenza della vita sociale milanese: la Prima della Scala. Le origini triestine e la gioventù vissuta in Europa da ebrea perseguitata dal nazifascismo le hanno consentito di conoscere e apprezzare quel gusto ricercato dal sapore internazionale. I suoi modelli piacevano alle nobildonne viennesi, alle signore dell’alta borghesia cittadina, ad attrici e cantanti di grido, tutte concordi nell’acclamare il suo talento. È stata la prima stilista italiana ad esportare negli Usa il Made in Italy. E le americane quando venivano in Italia compravano nel suo atélier. Esattamente come Coco trovò nella “petite robe noire” la sintesi perfetta tra sciccheria, signorilità e praticità perché adattabile a occasioni diverse con l’ abbinamento di accessori diversi. Tanto che la giornalista Camilla Cederna lo ribattezzò il “curiellino” proprio in suo onore. Ma se Mademoiselle Coco riuscì a godere di una lunga e fortunata carriera, morendo poi alla veneranda età di 87 anni, Gigliola Curiel fu stroncata da un brutto male a soli 49 anni e toccò alla figlia Raffaella rimboccarsi le maniche e prendere in mano le redini dell’impresa costruita con passione, sudore e dedizione dalla madre. Gli stessi valori che ha trasmesso a sua figlia Gigliola, consentendo così all’atelier fondato nel 1945 di attraversare quasi un secolo di moda con la terza generazione di stiliste.
Oggi il brand Curiel è di proprietà della holding cinese Redstone che lo ha acquisito nel 2016 e lo ha reso un punto di riferimento della moda Made in Italy in Cina. A oggi, paradossalmente, lì conta oltre 30 boutique mentre in Europa non vi sono (al momento) più punti vendita. Ma nonostante il core business sia oggi nel Paese del Dragone, il cuore pulsante di Curiel resta in Italia, in particolare a Milano, nel quartier generale di Via Montenapoleone 13. In una palazzina ottocentesca, proprio al centro della via simbolo del lusso meneghino, salendo una scala stretta, si apre la porta che conduce all’atélier Curiel, un luogo che profuma di altri tempi, tra macchine da cucire, bottoni, attrezzi di sartoria e cartamodelli. Qui antichi saloni finemente affrescati fanno da preziosissimo scrigno alle meraviglie sartoriali che il product manager Roberto Marino crea in perfetta sintonia con la signora Raffaella. È lui ad accoglierci e a guidarci alla scoperta della nuova Curiel, quella che, sotto la sua direzione creativa, ha preso forma collezione dopo collezione da quando vi è approdato nel 2018. “L’alta moda è sempre stata la mia vocazione, all’epoca arrivavo da 12 anni in Armani Privé ed è stata una bella sfida. Per incominciare mi sono trasferito in Cina, dove ho imparato a conoscere la cultura locale, studiando gli usi, le tradizioni e i desideri delle donne asiatiche. Mi aggiravo per le vie delle megalopoli cinesi annotando mentalmente il loro stile, passando in rassegna come abbinavano gli abiti, le forme che prediligevano. È stato così che ho scoperto che amano la comodità. Preferiscono la morbidezza ai rigidi bustier tipici dell’haute couture”, ci racconta Marino. “Poi è arrivata la pandemia, io mi trovavo già in Europa e così ho avuto la fortuna di rimanere bloccato a Milano. Dico fortuna perché è così che ho scoperto l’immenso archivio della famiglia Curiel, custodito proprio in questo palazzo. E ho iniziato a passarlo in rassegna, assimilando gli stilemi di Gigliola e Raffaella e interiorizzando i linguaggi che hanno fatto la storia del brand”, ci spiega il designer mentre ci guida alla scoperta della sartoria e dell’archivio. E poi, con un colpo di teatro, ci apre gli immensi specchi che ricoprono le ante di un grande armadio a muro. Lì si celano infatti decine di faldoni con i cartamodelli originali delle creazioni più iconiche dei grandi couturier francesi, da Christian Dior a Yves Saint Laurent fino alla stessa Chanel. Un patrimonio unico e raro, dal valore storico inestimabile: “La signora Gigliola amava viaggiare a Parigi e con l’occasione acquistava i cartamodelli che a quei tempi gli stilisti vendevano dopo le sfilate. Per averli e poterli studiare arrivava a spendere fino a 500 mila lire l’uno, cifra da capogiro allora. Sono tutti originali, con gli appunti autentici di Saint Laurent piuttosto che Dior e anche le notazioni che vi aggiungeva lei”, ci dice Roberto Marino mostrandoci alcuni fascicoli, perfettamente conservati e catalogati. Dà i brividi pensare che con questi pezzi di carta si è fatta la storia della moda. “Stando qui, riguardando le foto e i video di tutte le sfilate di Curiel, leggendo gli articoli di giornale scritti negli anni su Gigliola e Raffaella, mi sono rimesso al lavoro e ho disegnato la mia donna Curiel. Giovane, frizzante, intraprendente ma sempre alla ricerca di quella raffinata eleganza femminile che contraddistingue il marchio. Il successo è stato immediato e Curiel ha conquistato definitivamente i buyers e la clientela asiatica”.
Roberto ha compiuto questo corposo e minuzioso lavoro di risignificazione del brand approcciandosi con massimo rispetto all’heritage che lo accompagna. L’amore per il suo lavoro e per la storia Curiel ha fatto sì che riuscisse nella non facile impresa di inserirsi nel solco di una tradizione familiare per traghettare il marchio nel futuro, rilanciandolo con un’immagine moderna e classica. Al tempo stesso ha dimostrato come l’eccellenza artigianale della sartoria possa essere in grado di incontrare il design contemporaneo e creare ancora oggi abiti da sogno. Partendo proprio dal vestito per eccellenza, il “curiellino”: “Ebbene sì, questo è stato il capo simbolo e oggi è al centro di tutte le nostre linee. Creo per lo più abiti e per lo più neri. Per questo le tecniche sartoriali di lavorazione assumono una centralità cruciale, sono quelle a caratterizzare ogni capo. L’eleganza è nella purezza, l’essenza nella costruzione e sono i dettagli a fare la differenza. Lavoro per sottrazione, inseguendo quella raffinatezza tipica di Curiel e insita nella semplicità dei modelli”, ci spiega quindi Marino illustrandoci le sue ultime produzioni. “Oggi il ‘curiellino’ non è più ‘l’abito con cui non si sbaglia mai’, come veniva definito nelle cronache dell’epoca. È quello che rende una donna sempre perfetta”. E ancora, lo stilista ci apre le porte del suo studio, mostrandomi i bozzetti a cui sta lavorando per la prossima stagione: “Ogni volta che creo una collezione, appena dalla produzione, che si trova nel distretto tessile di Pescara, mi mandano i prototipi, mando subito alla signora Raffaella le foto dei nuovi modelli e dell’originale a cui mi sono ispirato per chiedere il suo parere. Puntualmente ne è entusiasta e questo per me è importantissimo”, ci racconta ancora il designer. “Vedo tanti giovani designer snaturare la tradizione del brand a cui vengono messi a capo: me ne dispiaccio e cerco di stare sempre ben attento a non fare lo stesso errore, perseguendo la massima corrispondenza tra la storia dell’atelier e le novità che voglio lanciare. Ho recuperato gli scolli anni’50, il drappeggio classico, il plissé”. Questo perché Roberto è prima di tutto un grande sarto nel senso più alto del termine, un superbo conoscitore di tutte quelle tecniche di cucitura manuale tipiche dell’alta moda ma imprescindibili per un pret-a-porter di altissima qualità. “Mi piace pensare che se un tempo Curiel vestiva le mamme, oggi veste le figlie”, ci dice prima di salutarci, mentre sistema la passamaneria che ha appena scelto per una delle sue prossime creazioni. il gruppo Redstone ha in programma grandi piani per il ritorno di Curiel sulla scena europea, in primis la riapertura della boutique a Milano. E poi, chissà, anche il rientro nel calendario delle sfilate. Quel che è certo è che torneremo presto a parlare di questo marchio con quasi un secolo di storia alle spalle.
L’atelier Curiel è uno degli oltre 100 luoghi della moda che sabato 22 e domenica 23 ottobre saranno aperti al pubblico nell’ambito dell’iniziativa ApritiModa, ideata da Cinzia Sasso per rivelare il “dietro le quinte” di un comparto, quello del lusso, che tutto il mondo ci invidia.