Il prefetto favorito per il Viminale, da capo di gabinetto ha condiviso le scelte più controverse del ministro leghista. È finito sotto inchiesta per i casi Open Arms, Diciotti e Alan Kurdi, ma ne è uscito indenne. Le circolari sulla "protezione delle frontiere", il "daspo urbano" a Bologna, i festeggiamenti non autorizzati della nazionale di calcio a Roma
Matteo Salvini non farà il ministero dell’Interno ma al Viminale si insedierà il suo alter ego: il prefetto Matteo Piantedosi, che di Salvini è stato capo di gabinetto nella breve ma intensa stagione da ministro nel governo Conte I, dal giugno 2018 al settembre 2019, culmine della “estate del Papeete”. Certo, la linea politica era dettata dal leader leghista, ma Piantedosi ha condiviso anche le scelte più controverse, dal blocco delle navi che avevano soccorso migranti in mare ai “decreti sicurezza”. Tanto che è stato indagato insieme al suo ministro, ma rapidamente archiviato, nelle indagini Open Arms, Diciotti e Alan Kurdi. Per il caso Open Arms – la nave dell’omonima ong spagnola con 107 migranti a bordo a cui nell’agosto 2019 il ministero dell’Interno negò lo sbarco in territorio italiano per 19 giorni, fino all’intervento della Procura di Agrigento –Salvini è tuttora sotto processo a Palermo per sequestro di persona.
Per la vicenda del pattugliatore italiano Diciotti – 190 persone soccorse in mare nell’agosto 2018 e fatte sbarcare “a rate” in un decina di giorni – Piantedosi era stato indagato dalla procura di Agrigento, ma è uscito dall’inchiesta, diventando un semplice testimone, quando questa è passata per competenza ai magistrati di Palermo. Ai pm dirà che esisteva un “allarme generalizzato” sulla possibile infiltrazione di soggetti radicalizzati attraverso i barconi provenienti dalle coste del Nordafrica. Nel caso della nave Diciotti non c’era però un “allarme specifico”, ma il Viminale adottava un “modello di comportamento” che teneva in conto il rischio: “C’è il tema di proteggere le frontiere”. Per quanto riguarda Salvini, nel marzo 2019 il Senato ha negato l’autorizzazione a processarlo.
Frontiere da proteggere anche dalla Alan Kurdi, la nave della ong tedesca Sea Eye con a bordo 64 migranti soccorsi in mare a cui il Viminale negò l’arrivo in Italia per dieci giorni, poi fu Malta a offrire un “approdo sicuro”. Il capo di gabinetto Piantedosi scrisse una circolare in cui avvertiva le forze di polizia e la Marina militare che l’eventuale transito della Kurdi nelle nostre acque territoriali “si configurerebbe necessariamente quale passaggio non inoffensivo“, dunque bisognava intimarle l’alt. La nave della ong aveva infatti l’obiettivo di trasferire sul territorio italiano “migranti irregolari con modalità improprie, in violazione della normativa internazionale sul diritto del mare e, quindi, in maniera pregiudizievole per il buon ordine e la sicurezza dello Stato”.
Napoletano, classe 1963, laureato in giurisprudenza, nominato prefetto nel 2011 da un altro ministro dell’Interno leghista, Roberto Maroni, poi vicecapo della polizia, sul fronte dei decreti sicurezza Matteo Piantedosi vanta addirittura una primogenitura. Nel 2017, da prefetto di Bologna, inventò il “minidaspo urbano“, un provvedimento amministrativo che permette di allontanare da determinate aree chi è stato già denunciato per reati “da strada”, dallo spaccio al commercio abusivo. Il provvedimento seguì l’allarme sullo spaccio al parco della Montagnola, amplificato dai servizi di Striscia la notizia, e fu preso di concerto con il sindaco Pd Virginio Merola. Una curiosità, sempre in tema di sicurezza, anche se in senso lato: nel 2019 Piantedosi firmò una circolare che, in deroga alla normativa sulle specie protette, permetteva di sparare ai lupi che mettevano a rischio gli allevamenti, ma “solo a condizione che sia stata verificata l’assenza di altre soluzioni praticabili”.
Piantedosi è anche prefetto di Roma. Nella capitale si è trovato a gestire diverse situazioni controverse. Fra queste, l‘assalto di militanti di Forza Nuova alla sede della Cgil a Roma durante una manifestazione “no green pass”, con strascico di polemiche sull’inadeguatezza dell’apparato di ordine pubblico. E i festeggiamenti della nazionale di calcio su un pullman scoperto per la vittoria ai campionati europei, non autorizzata per evitare assembramenti in piena emergenza Covid, ma poi “imposta” dai calciatori stessi, in particolare Giorgio Chiellini e Leonardo Bonucci. “Chiellini e Bonucci hanno rappresentato con determinazione il loro intendimento al personale in servizio d’ordine”, è stata la difesa del prefetto. “A quel punto non si è potuto far altro che prendere atto della situazione e gestirla nel miglior modo possibile”. Perché ormai, dopo che gli azzurri erano stati ricevuti al Quirinale ed erano attesi a Palazzo Chigi, i tifosi in attesa erano migliaia e vietare la passerella “avrebbe potuto creare problemi di ordine pubblico”.