“Non accetto compromessi: non svendo la mia terra e il mio popolo per un posto al parlamento nazionale. Sono fatto di un’altra pasta”. Così parlava Nello Musumeci solo lo scorso giugno, annunciando il passo di lato sulla sua candidatura bis al governo della Sicilia. Ed era stato chiarissimo. Adesso, dopo essere stato eletto in parlamento da senatore, è ministro alle politiche del Mare e del Sud nel neo governo di Giorgia Meloni. D’altronde, non è neanche rimasto “fino all’ultimo giorno” come aveva promesso, anzi: dopo il passo di lato fatto a giugno, ad agosto si è dimesso, così da permettere l’accorpamento delle elezioni regionali alle politiche del 25 settembre (in Sicilia si sarebbe votato, altrimenti, a novembre). Era capitolato infine, nonostante la strenua resistenza che aveva mostrato contro il fuoco amico di Gianfranco Micciché che da mesi lo aveva preso di mira per evitare la sua rielezione. Con la nomina di ministro, però, le rinunce dell’ex governatore appaiono adesso sotto una nuova luce.
Originario di Militello Val di Catania, Musumeci è stato banchiere e giornalista pubblicista, ma è noto da trent’anni come “il fascista gentiluomo” per il suo impegno politico nel centrodestra siciliano, cresciuto in quelle file dell’Msi che per lui furono “famiglia e scuola”. Nel 1999 e poi nel 2004 fu eletto eurodeputato, prendendo più preferenze di Gianfranco Fini. Nel 2006 si candidò per la prima volta alla presidenza della regione ma perse contro Totò Cuffaro. Ci riprovò nel 2012 stavolta perdendo contro Rosario Crocetta. Non contento ci ha riprovato una terza volta nel 2017, incassando finalmente la vittoria. Un’elezione che però fu accompagnata da forti polemiche perché le liste che lo portarono all’agognata vittoria erano popolate da “impresentabili”. Lui che era stato presidente dell’Antimafia siciliana nella legislatura precedente, alzò le spalle: “Il pane si fa con la farina che si ha in casa”, rispose alle polemiche.
Nei cinque anni in cui ha governato ha conquistato un record non da poco per la Sicilia: è il primo governatore a non finire sotto inchiesta dagli anni ’90. Cinque anni indenne. Lui sì, il suo delfino, però, Ruggero Razza, da lui nominato assessore alla Sanità, è stato travolto dall’indagine sui dati covid “spalmati”, tanto da essere spinto alle dimissioni. Un colpo duro per il governo di Musumeci che però lo impensierì per poco tempo: infatti ha rinominato lo stesso Razza nello stesso assessorato appena due mesi dopo (nel frattempo l’ex assessore è stato rinviato a giudizio). D’altronde è stato proprio Musumeci a offrire per la prima volta dopo il carcere una sponda ufficiale a Totò Cuffaro, incontrandolo nella sede catanese della Regione, lo scorso marzo. Poco dopo all’Hotel des Palmes di Palermo ha incontrato, invece, Marcello Dell’Utri che in quei giorni fece dello storico albergo nel cuore del capoluogo il suo quartier generale, dove incontrare politici e tirare le file del centrodestra in previsione di comunali e regionali. “Abbiamo parlato solo di libri”, ha confermato Dell’Utri, che ha anche raccontato di avergli passato Berlusconi al telefono.
Un incontro, che secondo alcuni alleati del centrodestra siciliano, era avvenuto in cerca di sponde per la sua rielezione. Già da mesi, infatti, era partito l’attacco del console di Berlusconi in Sicilia, Gianfranco Micciché, contro la sua ricandidatura. Ha resistito a lungo alle picconate del forzista, ma poi a giugno ha annunciato il passo di lato. Ha gettato la spugna, poco dopo il siparietto taorminese con Ficarra e Picone che lo mise in evidente imbarazzo. Durante la kermesse di Taobuk, Musumeci si era ritrovato, infatti, a condividere il palco con i due comici siciliani. E proprio mentre il presidente dal palco elencava i risultati del cambiamento raggiunto dal suo governo, i due comici lo avevano invece interrotto ricordando, ad esempio, lo stato delle infrastrutture (“abbiamo pagato l’autostrada in sesterzi”, ha detto Valentino Picone). Una scena ripresa dai cellulari e rimbalzata su tutte le homepage dei giornali online siciliani. Un episodio che secondo molti osservatori è pesato sui nervi del governatore.
Di certo, cinque giorni dopo ha ufficializzato il passo indietro sulla ricandidatura. Un passo indietro che non era ancora una rinuncia definitiva. Dopo la caduta del governo Draghi, Musumeci sostenne, infatti, una strenua resistenza alle pressioni del centrodestra per le sue dimissioni. Per settimane tenne tutti sulla graticola. È capitolato infine, sgombrando il campo dalle ipotesi che gli addetti ai lavori sostennero in quei giorni e cioè che la decisione era arrivata infine con la promessa di una compensazione politica: “Non c’è nessun motivo politico alla base di questa decisione, ma solo ragioni tecniche, dettate dal buonsenso“, sostenne. Al suo posto, poco dopo, venne scelto Renato Schifani, ora neo presidente della Regione. Sembrava, finora, un’amara sconfitta per il “fascista gentiluomo”. Ma adesso la nomina a ministro del Mare e del Sud dà a quella sconfitta tutto un altro sapore.