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Abramo e il comandamento di abbandonare la propria terra

Il primo e più famoso Abramo veniva, secondo la tradizione biblica, dalla Mesopotamia. Migrante per scelta o per destino diventò il capostipite del popolo ebreo e, in genere, dei credenti ossia i sottomessi al precetto divino di abbandonare la propria terra. In ogni migrante e migrazione c’è qualcosa di questo mistero primigenio che potrebbe aiutare a leggere diversamente i processi migratori.

Profondamente umani e nel contempo straordinariamente divini, almeno da Abramo in poi. Potremmo affermare, senza scostarci troppo dalla realtà, che la migrazione e dunque il migrante, nasconde o evidenzia qualcosa di teologico. Una sorta di comandamento legato all’abbandono della propria terra.

Abramo era un irregolare per scelta. L’altro Abramo, che si trova a Niamey dall’anno scorso, è invece classificato e riconosciuto come ‘rifugiato’ e, seppur meno noto del primo, ha una storia più complicata e dolorosa della sua. Nella sua regione di origine, il Darfur nel Sudan, ha vissuto e pagato di persona le conseguenze di una guerra senza fine. Racconta che, il giorno stesso del suo matrimonio, la sua casa è stata bruciata e sua moglie violentata. Suo padre e sua madre hanno perso gli arti inferiori. Le milizie hanno ucciso i suoi fratelli e sorelle. Lui stesso è stato rapito e obbligato ad occuparsi del bestiame per alcuni anni e poi è fuggito in Libia con la moglie e il fratello gemello, unico superstite della famiglia.

L’inferno, e non la benedizione, lo pedinava anche in Libia.

Contrariamente all’altro Abramo lui è stato imprigionato per cinque anni in Libia dove il gemello è stato bruciato e la moglie uccisa. Il visto umanitario che aveva potuto ottenere dall’apposita agenzia delle Nazioni Unite e che l’avrebbe condotto in salvo altrove, è stato ritirato e venduto dalle milizie libiche per cinque mila dollari. Durante il soggiorno è stato più volte torturato alle gambe, alle braccia e alle unghie di mani e piedi.

E’ stato rimpatriato, per accordi umanitari, nel Darfur, dal quale è scappato perché perseguitato per motivi religiosi. Si era infatti, nel frattempo, convertito alla fede cristiana. Sostiene che milizie ben addestrate a questo scopo lo seguono ancora oggi per eliminarlo.

L’altro Abramo, il minore potremmo dire, è ospite in una delle case di accoglienza delle Nazioni Unite per i Rifugiati, gestite da COOPI (cooperazione internazionale), una ONG italiana che da anni opera nel Niger. Lui, l’altro Abramo, non è all’origine di un nuovo popolo e la sua progenie assai meno numerosa che le stelle del cielo e la sabbia del deserto. Si è vestito, per l’occasione,con un completo scuro come fosse invitato ad una festa di nozze.