di Massimo Marotta
Stavo leggendo l’articolo dal titolo Voto all’estero, il caso delle 25mila schede false dal Sudamerica: ancora brogli senza colpevoli scritto da Massimiliano Sfregola e pubblicato sul Blog del Fatto Quotidiano, e riflettevo sul fatto che ad ogni elezione ci troviamo di fronte a casi simili. L’articolo parla anche del caso di Adriano Cario, eletto in Argentina, manco a dirlo con molti voti taroccati. Il perito calligrafico della procura della Repubblica di Roma dichiarò che “esaminate 125 schede di una sezione e 100 di un’altra, non vi sono mani differenti per ogni scheda, bensì la presenza di gruppi di schede riconducibili a una stessa mano”. Questo avvenne nel 2018, e dopo 4 anni probabilmente, visto che la mano prolifica si starà ancora riposando, i metodi sono cambiati. Fortunatamente, alle volte, in peggio.
Sono rimasto sorpreso dalla dichiarazione del Comites di Bahía Blanca che, durante la fase di scrutinio delle elezioni politiche 2022, nelle urne elettorali corrispondenti all’Argentina è stata verificata la presenza di migliaia di schede false, con colori diversi ed errori di scrittura e tipografia, che ha portato all’annullamento di più di 38.000 voti per la Camera dei Deputati e 22.000 per il Senato. Ci ha salvato l’inesperienza di apprendisti truffatori, che hanno stampato schede false a casa di un cugino tipografo, ma bravo. Purtroppo, il cugino tipografo l’italiano non lo sapeva bene e ha scritto “CAMERA DEI DIPUTADI” sulle schede. In questo caso, palese, le schede false non sono state conteggiate, ma esposti e denunce ce ne sono state.
Il sistema del voto all’estero va modificato e migliorato, altrimenti meglio annullarlo. Una cosa che ho sempre notato, come italiano residente all’estero, è che le schede che riceviamo noi non sono né timbrate né firmate. Certo, dobbiamo seguire una certa procedura, dove la scheda elettorale va inserita in una prima busta, sigillata, e inserita in una seconda busta insieme ad un talloncino. Ma alla fine se la scheda fosse timbrata e firmata, forse complicherebbe la vita al cugino tipografo, sperando comunque che nel caso tentasse sbagliasse usando “embajada” invece che “ambasciata”.
Un’altra criticità circa il voto per corrispondenza sono i costi di invio delle schede elettorali, considerando che alle ultime elezioni solo il 25% degli aventi diritto ha votato.
Durante le ultime elezioni Comites, in cui sono stato eletto Consigliere a Singapore, è stata introdotta l’opzione di voto, da esercitare con vari canali, tra cui il servizio FastIt. Buona idea, in teoria, per ridurre lo spreco e inviare le schede elettorali solo a coloro che avessero esercitato l’opzione. Bisognava anche pensare al rischio di schede inviate ad indirizzi non aggiornati, causa connazionali un po’ pigri. Per questo motivo l’opzione di voto permetteva l’indicazione di un indirizzo anche diverso da quello ufficialmente registrato, per la spedizione delle schede elettorali. E se qualcuno avesse pensato bene di usare questa possibilità per far confluire schede di persone non presenti, e che quindi non avrebbero potuto votare, ad amici e parenti?
Purtroppo i furbetti ci sono sempre, e probabilmente bastava imporre l’aggiornamento dell’indirizzo di residenza ufficiale al momento dell’esercizio dell’opzione di voto, visto che tutte e due le cose si possono fare con FastIt. Ma è il voto per corrispondenza, di per sé, a dover cambiare. Alle ultime elezioni del Comites, alcuni elettori hanno sperimentato il voto elettronico, usando il portale “FastIt” attraverso la piattaforma “IOvoto”, autenticandosi con credenziali Spid. Ovviamente ci sono diversi aspetti da considerare utilizzando il voto elettronico, come ad esempio la necessità di un cloud nazionale per gestire le operazioni di voto. Probabilmente lo sviluppo di sistemi basati su blockchain potrebbe garantire un funzionamento efficiente e sicuro.
Una cosa è certa: se nulla verrà fatto, leggeremo le stesse notizie ad ogni elezione.