L'addio a Palazzo Piacentini per traslocare al Mef difficilmente verrà salutato con giubilo dai sindacati. Perché, soprattutto i metalmeccanici, sono stati tra i più critici nei confronti del ministro che esce dalla porta e rientra dalla finestra con galloni superiori. Al di là delle assenze ai tavoli di crisi, le rimostranze - arrivate anche da Federmeccanica - sono state soprattutto sulla gestione della transizione per il settore auto
Alla guida del ministero dello Sviluppo Economico è riuscito in un’impresa epocale. Non la riduzione drastica dei tavoli di crisi che da anni ormai continuano più ad aprirsi che a chiudersi tra la mancanza di politiche industriali, il post-pandemia e la nuova crisi indotta dall’invasione dell’Ucraina, ma la presentazione di un “documento comune” da parte di Federmeccanica e sindacati di categoria. Una vita a litigare, discutere e ‘combattersi’, poi lo scorso febbraio Giancarlo Giorgetti ha fatto il miracolo: riunire industriali e operai dalla stessa parte della barricata nella richiesta di guidare il settore dell’automotive verso la transizione ecologica per evitare la deindustrializzazione di un comparto chiave dell’economia italiana. L’addio dopo venti mesi a Palazzo Piacentini per traslocare in via XX Settembre, insomma, difficilmente verrà salutato con giubilo dai sindacati. Perché, soprattutto il comparto metalmeccanico, è stato tra i più critici nei confronti del ministro che esce dalla porta e rientra dalla finestra con galloni superiori. E con l’endorsement dell’uscente Daniele Franco: “Sarebbe adattissimo al Mef”, ha detto il titolare dell’Economia durante il governo Draghi. L’accusa più dura e reiterata da parte delle sigle è legata, oltre che ai ritardi sul piano per il settore auto, alle diverse volte in cui la sua sedia è rimasta vuota ai tavoli di crisi, alle convocazioni dilatate nel tempo e alle richieste di incontri urgenti spesso ignorate.
Emblematica in questo senso la vertenza Whirlpool, sulla quale è stato firmato un verbale d’intesa a un passo dall’addio. Il 15 ottobre 2021, giorno in cui scadeva l’ultimatum della multinazionale per i licenziamenti degli operai di Napoli, Giorgetti disertò il faccia a faccia al Mise, dove fece una breve apparizione il ministro del Lavoro Andrea Orlando. Dov’era il “Gianni Letta” leghista? A Varese con Matteo Salvini per un appuntamento elettorale del candidato sindaco leghista Matteo Bianchi. “Una mancanza di rispetto”, tuonarono la Fiom e la Uilm. Non l’unica, ad avviso dei sindacati. Quando ad agosto si è fatta più concreta l’ipotesi che Whirlpool decida di smantellare interamente la sua produzione in Europa, trascinando nell’incertezza i 4mila dipendenti italiani, la componente della segreteria nazionale della Fiom, Barbara Tibaldi, era tornata ad attaccare Giorgetti. Ricordando come da maggio fosse in piedi la revisione strategica del colosso degli elettrodomestici, con la possibilità di una riduzione o chiusura del perimetro industriale in area Emea, la sindacalista aveva ricordato a Ilfattoquotidiano.it: “Un governo intelligente avrebbe chiamato il Ceo americano chiedendo informazioni”. Cos’era invece accaduto? I sindacati avevano inviato tre lettere al Mise chiedendo un incontro per capire come si stesse muovendo il ministero: tutte fino a quel momento rimaste senza risposta.
Anche in altre occasioni è stato così, durante il governo giorgettiano. A settembre 2021, il segretario generale della Uilm Rocco Palombella si era sfogato con il Fatto.it: “C’è un’assenza politica, quella di Giancarlo Giorgetti, incontrovertibile. Qualcosa che sfiora la delegittimazione sindacale. Siamo quasi ignorati”. Un atteggiamento di “noncuranza”, lo definì. “Le difficoltà a risolvere le crisi ci sono sempre state, ma ci si parlava e confrontava. Ora invece si prendono impegni, ma cadono nel nulla”, aggiunse. Del resto l’avventura di Giorgetti aveva avuto un inizio al rallentatore: la distribuzione delle deleghe era rimasta al palo per oltre un mese con ritardi su vertenze importanti come Acciaierie d’Italia, l’ex Lucchini di Piombino e Blutec. Da febbraio dello scorso anno i rappresentanti dei lavoratori hanno più volte messo nel mirino il leghista anche per la via ‘morbida’ contro le delocalizzazioni, accusandolo di aver di fatto depotenziato la norma – poi recentemente inasprita nel dl Aiuti ter – rispetto alle attese dopo mesi di braccio di ferro con Orlando e la sua vice del M5s, Alessandra Todde.
Rapido, risolutivo e in prima persona è stato invece l’intervento per la Corneliani di Mantova. Non un unicum, ma quasi. Tra le altre manovre andate a buon fine si ricordano Ideal Standard, Slim Fusina Rolling e Canepa. Al Mef Giorgetti si porta anche la spinta sui semiconduttori attraverso la partnership con STMicroelectronics. Troppo poco secondo i sindacati che rinfacciano al nuovo ministro dell’Economia in primis la lentezza ad avviare il dossier sul settore auto, il più delicato sulla sua scrivania valendo – le cifre sono dello stesso ministero – 350 miliardi di euro di fatturato, pari al 20% del pil, e 1,25 milioni di lavoratori tra industria, commercio e distribuzione carburanti. Avrebbe dovuto essere il dossier della visione e del piano al lungo termine, ma in eredità c’è ben poco di concreto. Mesi e mesi di richieste, anche convergenti con una parte di Confindustria, affinché iniziasse una progettualità per gestire la transizione dal motore tradizionale a quello elettrico ragionando su investimenti, formazione degli operai, insediamenti industriali. La discussione ora è finalmente avviata, ma le basi sono considerate ballerine.