Gli esordi nel movimento giovanile del Movimento sociale italiano, negli anni '90 il passaggio alla Lega. La carriera del bocconiano Giorgetti è costellata di successi politici ma non altrettanti di stampo economico. Molte le questioni lasciati irrisolte nei venti mesi trascorsi al ministero dello Sviluppo Economico
Il leghista Giancarlo Giorgetti, 55 anni, è il nuovo ministro dell’Economia. Nelle prossime settimane dovrà concordare con Bruxelles una manovra da 40-50 miliardi di euro, in misura significativa finanziata con il deficit e, al contempo, rassicurare i mercati internazionali sulla tenuta dei conti italiani. Sin dalle prime ore dovrà maneggiare patate bollenti come la vendita di Ita Airways e il complicato aumento di capitale di banca Mps. E nel frattempo affrontare le prime fasi dell’annunciata recessione. Compito improbo e non è un caso che non ci sia stata una corsa a cercare di occupare la poltrona in via XX settembre. Giorgetti è l’uomo adatto? Giusto che parlino i fatti ma le premesse non sono delle più incoraggianti. La guida del ministero dello Sviluppo economico ha lasciato senza soluzione la gran parte delle più gravi crisi industriali del paese, da Whirlpool all’ex Ilva e, a quanto riferiscono le parti coinvolte, la presenza del ministro ai tavoli di trattative con le aziende è stata molto sporadica. La carriera di Giorgetti è costellata di molti successi politici ma non altrettanti di stampo economico.
Nato a Cazzago Brabbia, in provincia di Varese, Giorgetti è un commercialista laureato all‘università Bocconi di Milano. Imparentato con il banchiere Massimo Ponzellini, la sua carriera politica comincia nel Fronte della gioventù, il movimento giovanile del partito fascista Msi che nell’area del varesotto raccoglieva il doppio dei voti della media nazionale. Tra movimenti giovanili di estrema destra e quelli leghisti della zona esiste una certa contiguità. E così, all’inizio degli anni ’90, Giorgetti passa alla Lega di Umberto Bossi che all’epoca rivendica la secessione delle regioni del Nord dal resto del paese. Da qui in poi la carriera politica di Giorgetti cammina rapida. Il debutto alla Camera è del 1996 dove siede ormai da 26 anni, in due occasioni sarà presidente della commissione Bilancio della Camera. Per un decennio, fino al 2012, è segretario della Lega Lombarda.
È anche uno dei consiglieri di amministratore della piccola banca Credieuronord, nata all’inizio degli anni 2000 per volontà della Lega. La banca ha vita breve, finisce in bancarotta nel 2004: l’erogazione dei prestiti è un po’ troppo allegra e basata più su rapporti relazionali che su oculate valutazioni economiche. Il bilancio del 2003 presenta una perdita di 8 milioni di euro a fronte di impieghi (ossia di prestiti erogati alla clientela) di 47 milioni. Le sofferenze ammontano a 12 milioni. In sostanza oltre un euro su cinque di quelli prestati è finito in mano a soggetti che non sono in grado di restituirli. Con la banca lavorano molti produttori di latte padani con simpatie leghiste, Credieuronord partecipa anche a intermediazioni fittizie con le cooperative di allevatori per occultare il mancato rispetto sulle quote latte imposte dall’Europa. Giorgetti viene indagato con gli altri membri del cda per il crack ma viene assolto.
Se in “Padania” i problemi non mancano a Roma le cose procedono a gonfie vele. Per due volte, a Montecitorio, Giorgetti viene nominato presidente della commissione Bilancio e alla Camera ricopre anche la carica di capogruppo. È indicato come il regista che decide gli uomini del partito che devono occupare le poltrone dei cda delle partecipate statali che contano. Nel primo governo Conte giallo verde è sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Con Mario Draghi a palazzo Chigi arriva la nomina a ministro per lo Sviluppo Economico. Qui i risultati non sembrano indimenticabili. Il leghista lascia più tavoli di crisi aperti di quando è arrivato. Uno dei dossier più delicati è quello che riguarda il settore auto dove bisogna gestire la transizione dal motore tradizionale a quello elettrico con tutto quello che comporta in termini di investimenti, insediamenti industriali e riqualificazione del personale. Serve insomma una visione, un piano di lungo termine di cui però per ora non c’è traccia. Solo dopo reiterate richieste da parte sia dei sindacati che di Confindustria il Mise si decide a convocare un tavolo sulla questione. E, come ricorda un sindacalista, le discussioni partono senza che sia stata fatta neppure una “semplice mappatura della filiera italiana dell’elettrico”.
Altro dossier che galleggia in un limbo è quello della raffineria siciliana Isab di proprietà della russa Lukoil. Dall’impianto esce il 20% dei prodotti raffinati consumati sul mercato italiano. Le sanzioni contro la Russia hanno fatto sì che Isab abbia smesso di comprare petrolio anche da altri paesi fornitori ma si rifornisca solo di greggio russo della casa madre. Questo spiega perché le importazioni italiane di petrolio russo negli ultimi mesi siano aumentate. La raffineria, dove lavorano mille persone (2.500 nell’indotto) ha davanti a sé un futuro molto incerto. Da dicembre dovrebbe entrare in vigore l’embargo europeo sul petrolio russo, che bloccherebbe il greggi per lo stabilimento siciliano. Nessuno sa bene cosa accadrà. Circa un mese fa il Financial Times ha dato conto di un interessamento per l’impianto da parte di un fondo statunitense ma nessuno ne ha saputo nulla e dal governo non è uscita una sola parola.
A torto o a ragione, Giorgetti è considerato l’uomo affidabile della Lega, convinto europeista, conosciuto all’ambasciata statunitense, nessun dubbio (almeno non di recente) sull’appartenenza all’euro. Favorevole ad un ruolo limitato dello Stato nell’economia e attento ai conti pubblici. Battitore libero nel partito sovranista e con simpatie anti euro modellato dal segretario Matteo Salvini. Eppure all’uomo non sono sconosciute dichiarazioni azzardate. Quello del meeting ciellino di Comunione e liberazione è il palco che predilige per lasciarsi andare. Da qui, nel 2018, afferma che “il Parlamento italiano non ha più importanza perché non è più compreso dai cittadini, che lo vedono come un luogo di inconcludenza politica”. L’anno seguente se la prende con il sistema dei medici di base che “è finito”, perché ormai si cercano gli specialisti su internet e “il mondo in cui ci si fidava del medico di base non esiste più”. Il neo ministro dell’Economia è sposato con Laura Ferrari che, nel 2008, ha patteggiato una condanna a 2 mesi e 10 giorni per truffa ai danni della Regione Lombardia.