Caro merito, oggi scrivo a te.

Chi ti scrive non è mai stata – né intende essere – sindacalista dei propri figli rispetto ai professori. Semmai il contrario, sempre e ostinatamente.

E non sarà questo il momento di cambiare stile. Però.

C’è un però.

Oggi è un giorno particolare: è quello in cui, a primo Cdm compiuto del nuovo governo, si ufficializza la tua nascita tra le diciture istituzionali. Finora sei sempre stato un’ipotesi di lavoro e, lo riconoscerai, ti si dà un bel credito a fondo perduto a metterti già in pole position. Ma non sarà certo questo il luogo dei respingimenti. Anche perché se è vero che il marketing è tutto, è anche vero che il pregiudizio non fa onore. Quindi, da questa parte, ben pronti a stupirsi. E al limite anche a congratularsi. Dunque benvenuto anche a te, marziano di un merito che non ti si è mai visto da queste parti ma mai dire mai.

Però. Siccome cuius commoda, eius et incommoda, l’onere della prova – quello sì – ci riserviamo il diritto di vedercelo servito.

Pensavo a te e a poco meno, caro merito, quando mi arriva l’ennesima foto choc dal Canada, dove mia figlia, la maggiore, sta facendo l’esperienza del quarto anno all’estero. In questo caso si tratta di una biblioteca scolastica. Legno, luce, ampie vetrate. Edilizia scolastica, penso (nella mia testa impatta il crollo all’università di Cagliari). Segue uno scatto della porta dell’Aula Professori: tappezzata di bandiere di ogni nazionalità, colori Lgbtq, stickers e post-it lasciati anche dagli alunni. Confronto e diritti, rimugino. Ancora: indumenti e reperti della prima guerra mondiale, strumenti per studiare la storia attivamente. Metodo alternativo, sento un prurito sul gomito. Non c’è nessuna zanzara in giro. Visita a eventi, musei e partecipazioni a manifestazioni: Active living. Il concetto sottende la formazione e non solamente l’istruzione.

Deglutisco e forse un po’ male mi sento.

Anzi, avverto proprio netta un’ondata di freddo gelido e ripenso alla mia maestra delle elementari, che ancora sento e che ancora chiamo maestra: un faro. Che cosa mi avrebbe detto – e mi direbbe – della n davanti alla p. Non voglio neanche pensarlo. E infatti ringrazio, ma tanto, e vado avanti.

Ritorno alle foto. Le scorro. Vedo ragazzi e ragazze vestiti colorati d’arancione in onore alla giornata dei nativi di Canada, quelli ai quali il Papa ha chiesto scusa per i torti subiti. Li rivedo vestiti di mille colori in occasione di una delle tante giornate a tema: quello era il giorno dei bambino: tutti vestiti da poppanti. “I Prof, orsacchiotti in mano e ciucci appesi al collo, si sono fatti attaccare gli adesivi sul viso”. E’ la cattedra che scompare, per un giorno.

Fin qui tutto a posto. Altro mondo, altro stile e andare fuori serve anche e soprattutto a questo. Se non fosse che io dall’altro capo della chiamata video vedo e sento un’altra persona, una piccola donna diversa da quella che ho accompagnato all’aeroporto qualche mese prima. Ascolto una ragazza di diciassette anni che mi dice: “Io qui ho ritrovato la passione per lo studio perché ai professori interessa chi sono, che cosa faccio e far sì che io sia soddisfatta è il loro obiettivo”. Alzo le antenne, cerco di capire dove si è inceppata la macchina qui e faccio domande. Le risposte arrivano sincere: “Mi sveglio la mattina felice di andare a scuola, era da tempo che non avevo questa sensazione”. Voglio sapere perché, visto che qui ci diamo fama di avere una scuola che tutti ci invidiano: “Studio sodo e vedo i risultati della fatica”. Il prurito mi si centuplica.

Sta parlando di te, del merito? Lì vieni riconosciuto?

Comincia a farsi strada in me un’idea che ricaccio subito indietro: e se la nostra scuola fosse rimasta indietro? Edilizia scolastica, confronto, diritti, metodo alternativo, dialogo docenti-alunni.

Mi fermo. Prendo fiato, metto in ordine i pensieri.

Rivedo l’ultimo anno di scuola dei miei figli, quello post lockdown. Una fatica indicibile, uno iato incolmabile tra professori e alunni, il dialogo smarrito, invisibili gli obiettivi comuni. Una scuola che si è fatta luogo di studio (compiti su compiti) e non palestra di metodo. Che può essere anche metodo educativo: insegnare a leggere tra quello che nessuno ti scrive; a sentire quello che nessuno vuole dirti; a vedere quello che i più potrebbero nasconderti. Solo un modo c’è per raggiungere questo obiettivo: l’esempio. Che è stato ed è il grande assente. Riprova ne è il tam tam delle lettere aperte di alunni a presidi introvabili, un’iniziativa partita da Roma, estesa a tutt’Italia, raccolta e diffusa dai social. Un grido acuto di dolore sordo che alzava il velo su una distanza di metodo che, inevitabilmente, diventava di merito. Responsabilità solo della pandemia e del blocco cui ha sottoposto una generazione e il suo corpo docente? Troppo facile, “troppo alibi”.

Il prurito diventa un’arma di tortura. Il merito, sì, tu, non precipiti dal cielo. Lo devi vedere e devi sapere che puoi contarci anche tu.

“Io qui ho ritrovato la passione per lo studio perché vedo che se mi impegno i risultati li porto. E sono alti”.

Ripasso velocemente tutti i discorsi fatti tra amiche con figli coetanei. Stesso mood, stesso dolore.

Oggi però è il giorno in cui tu, sconosciuto merito, sei entrato ufficialmente in ballo. E allora, debuttante che altro non sei, raccogli un invito e se ancora non sai ballare da solo, fallo almeno circolare – con o senza prevendita – perché il guadagno in prospettiva è tanto che neanche te lo immagini.

Mettiti al centro del dibattito, che fai al primo gancio vuoi tirarti indietro, lo so che qua è dura e che prima t’hanno messo l’etichetta e ora ti chiedono i tituli. Ma tu sorprendici tutti.

E parti dall’alto, perché a te in alto ti hanno piazzato, anche se non te lo meriti per niente oggi come oggi. Parti dall’alto e sì, e produciti per farli andare fuori questi ragazzi, magari mettendo anche le famiglie in condizione di essere agevolate nel far annusare ai loro ragazzi l’aria di fuori. Persino Samantha Cristoforetti si è fatta portavoce, in un video bellissimo, dell’importanza dell’exchange study.

Dopodiché caro merito, oggi che tu stai in cattedra senza merito, fatti una domanda e datti una risposta: ma siamo sicuri che solo i ragazzi debbano andare fuori? Secondo te, a presidi e professori, al nostro sistema in generale, non sarebbe utile vedere fuori come funziona, esportare le loro competenze e tornare arricchiti da metodi che altrove fanno sì che i ragazzi vadano a scuola con il sorriso e con la voglia di studiare?

Pensaci, merito. Perché meriti e demeriti – parafrasando Manzoni – non stanno mai da una parte sola.

E oggi se tu vuoi diventare un Merito che si rispetti devi scendere dalla cattedra e spargere un po’ di te a vari livelli. Non essere ingeneroso, meritati quel che hai avuto.

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