Diritti

La povertà profonda trascina il Paese in basso. Per risalire bisogna partire da lì

Se la povertà fosse solo questione di soldi, affrontarla sarebbe più semplice. Si tratterebbe di lottare per ridistribuire più equamente le risorse economiche a disposizione, dosando gli interventi (a chi dare di più, a chi meno) e i prelievi (da chi prendere sotto forma di tasse, tariffe, e in quale misura). A fronte dell’emergere di nuove povertà non risarcibili con la monetizzazione tradizionale, la politica può inventarsi qualche bonus che le affronti con la stessa logica delle vecchie. Infine la pandemia che “si è innestata su una situazione sociale caratterizzata da forti disuguaglianze, più ampie di quelle esistenti al momento della crisi del 2008-2009” (ISTAT Rapporto 2020), e il modello della meritocrazia a una sola direzione è franato. Ce l’hanno inculcato per almeno trent’anni, da destra come da sinistra. Così è diventato normale pensare che chi è povero un po’ se lo merita. Ora c’è anche il ministero dei meritevoli.

Se poi sono interi settori della società, per gran parte gli stessi che hanno sostenuto il boom economico di cinquant’anni fa facendosi ceto medio, ad essersi impoveriti fino all’indigenza di oggi, beh! sono stati loro gli artefici di questo disastro: non hanno saputo restare al passo coi tempi, modernizzarsi, riconvertirsi, competere, meritarsi ciò che il welfare degli anni d’oro aveva elargito con dovizia di mezzi. Non solo la sanità, anche la scuola, il sistema pensionistico, il ceto medio è scivolato nella povertà perché ha demeritato, di fronte alla riscossa del capitalismo più selvaggio e arrembante ha alzato le braccia, si è arreso in cambio di qualche illusione di modernità.

Con la storiella del merito hanno liquidato il welfare per trasformarlo in carità mentre i diritti collettivi diventavano regalie “che bisogna meritarsele”. Eppure già nel 2008 la Commissione Europea metteva in guardia dall’eccessiva rigidità che impedisce la mobilità sociale e la crescita del paese, precipitato al 34° posto nella speciale classifica stilata dal WEF nel 2020, fra gli ultimi tra i paesi industrializzati; meno mobilità, meno opportunità, meno sviluppo, più povertà, maggiore illusione di controllo sociale, sempre meno diritti e legami sempre più criminosi e criminogeni, come nelle società mafiose.

Eppure questa è la narrazione odierna: la discussione sul reddito di cittadinanza, quella sul salario minimo, sulla scuola che langue, sulla sanità che fa acqua da tutte le parti e sulla ferocia delle assicurazioni, del mondo bancario, della finanza sono tutti pezzi di un unico puzzle che, variamente ricomposto, porta sempre l’immagine di una piramide con la base, larghissima, che è già sprofondata nel sottosuolo. A certificare l’irrilevanza della politichetta e di larga parte dei mass media del nostro paese che di questi temi trattano solo per mettere alla berlina poveracci “furbetti”, girando gli occhi ogni volta che la malavita organizzata ai più alti livelli si dispiega in qualcuna delle sue operazioni di contiguità col potere politico ed economico.

Intanto proprio la condizione giovanile di oggi ci indica che il divario è diventato una voragine. “Nel 2007, la povertà assoluta colpiva 3 bambini su 100. Pochi anni dopo, nel 2016, era quadruplicata e colpiva 12,5 minori su 100, ossia 1 minorenne su 8. Nel primo anno della crisi pandemica, il 2020, sappiamo che i bambini e i ragazzi che vivevano in condizione di povertà, senza avere accesso a beni e servizi essenziali, erano il 13,5% del totale” l’Atlante 2020 di Save The Children. Ognuno di questi bambini ha una famiglia che non gli garantisce più ciò che serve, se stranieri ancora peggio.

Intanto aumenta la povertà profonda, quella strutturale generata dall’accanimento contro i poveri: prima l’attacco alle condizioni di vita e poi la mortificazione delle speranze di riscatto attraverso la mobilità sociale. Servizi pubblici senza missione che consumano risorse per il loro funzionamento; cure da prenotare con mesi di anticipo, se non si ricorre alle assicurazioni private; quotidiani tutti uguali e tv anche, d’altra espressione delle stesse élites che pasteggiano sulle rovine dello stato sociale; tagli ed economie solo a carico di quelli da cui si preleva alla fonte promettendo anno dopo anno mirabolanti lotte all’evasione fiscale.

La povertà profonda comincia da lì e finisce nelle famiglie dove si sommano i disagi: non solo i diretti interessati, ma tutto il milieu che li circonda scivola nella povertà senza uscita; l’abbandono scolastico distrugge il futuro, più ancora se si accompagna alle tante forme con cui il disagio sociale si manifesta nei ragazzi di oggi; e poi la povertà alimentare, con cibi e bevande spazzatura da ossessione televisiva che rovinano salute e autostima, la povertà culturale del telefonino con guardare le disgrazie degli altri sui social.

Lo sappiamo tutti che ci vogliono scuole che funzionano, servizi che supportino, la costruzione di una cultura vicino ai nuovi bisogni, servizi sportivi diffusi e poco costosi, vacanze per i bambini e i ragazzi oggi parcheggiate in estate nelle stesse scuole che hanno frequentato per il resto dell’anno e così via. Invece, ricorda il Rapporto Svimez 2020, la spesa per istruzione in Italia è passata negli ultimi 10 anni da 60 miliardi a meno di 50, con uno squilibrio nord-sud che accentua la diseguaglianza anche geografica di opportunità (-13% nel Centro Nord, -19% nel Sud). Non dissimilmente nello sport, nella cultura nel tempo libero, nell’avviamento professionale. Oggi la priorità è ricucire la tela strappata delle coesione sociale, costruendo occasioni, servizi e opportunità, altro che flat tax! Qualcosa si muove, ma è troppo poco.

Quanto durerà ancora questo spreco è difficile dirlo, ma le parole di Don Ciotti sul Fatto del 18 ottobre scorso sono il verdetto: “Se la politica non combatte le ingiustizie diventa sostanzialmente criminogena, commette un crimine e lo favorisce”. Il crimine di peggiorare deliberatamente le condizioni di vita della gente è in atto da così tanto tempo che si è depenalizzato da solo, ma fa specie che in un paese con la cronica carenza di popolazione giovane, siano proprio loro e le loro famiglie a essere i più penalizzati, prime vittime di un’ingiustizia che cresce sulle loro spalle a trascina il paese a fondo.