Le acque reflue contengono un tesoro di dati sulla nostra salute e possono essere utilizzate per tenere traccia delle pandemie o addirittura scongiurare epidemie. Come?
In pochi sanno che l’acqua è la più grande massa che si muove dentro e fuori una città ogni giorno. Non lo sono quindi i treni, le auto o le persone, ma l’acqua. Pura in entrata e meno pura in uscita, ed è proprio quest’ultima quota che conserva tracce di quasi tutte le attività umane che si svolgono in quell’area. Un gruppo di ricercatori del Mit (Massachusetts Institute of Technology) da alcuni anni rivolge l’attenzione alla quota idrica che scorre attraverso le nostre fogne.
L’acqua di scarico, come è noto, contiene parametri biochimici di milioni di persone e, attraverso queste, gli scienziati possono ricostruire informazioni e dati sorprendentemente dettagliati sulla nostra salute, ricchezza e ambiente, nonché monitorare epidemie e captare l’uso di droghe e farmaci.
Questo nuovo campo di studi, chiamato epidemiologia basata sulle acque reflue, non solo ha il potenziale per rivoluzionare la salute pubblica, ma anche trasformare la nostra visione delle acque reflue che, da semplici rifiuti disgustosi, appariranno come qualcosa di incredibilmente prezioso.
Ciò che nel privato eliminiamo attraverso rubinetti e fogne diventa rapidamente pubblico. Raggiungendo la fogna attraverso lo scarico e poi unendosi e fondendosi con quelli dei nostri vicini, dei vicini dei nostri vicini e così via, prima di finire nell’impianto di trattamento locale delle acque reflue. L’idea che da tutto questo si potessero ottenere informazioni utili è stata suggerita per la prima volta in Italia a metà degli anni Duemila.
Nel 2005, infatti, uno studio di riferimento ha prelevato campioni dal fiume Po in Italia, al cui bacino afferiscono le acque reflue di cinque milioni di persone. I ricercatori hanno testato i campioni per la ricerca della cocaina e del suo principale metabolita, la benzoilecgonina – il composto principale in cui il corpo la scompone.
Il risultato finale ha rivelato che il fiume trasportava i rifiuti prodotti dal consumo di quattro chilogrammi di cocaina ogni giorno, il che si traduceva in circa 40.000 usi separati della droga. Il lavoro ha ispirato gli scienziati di tutta Europa a standardizzare la raccolta e l’analisi delle informazioni sui farmaci nelle acque reflue e a stabilire un sistema di monitoraggio a livello continentale.
Questo approccio e questa metodologia sono quindi stati applicati anche in altre parti del mondo, soprattutto negli Stati Uniti, dove un team di lavoro ha raccolto campioni di acque reflue da tutto il paese e li ha conservati in un archivio, soprannominato ‘Osservatorio sulla salute umana’.
Il lavoro ha intanto permesso di dimostrare che alcuni composti antimicrobici comunemente aggiunti a saponi e altri prodotti di consumo persistevano nelle acque reflue per molto più tempo di quanto si pensasse in precedenza. Si trattava di sostanze note per essere dannose per l’uomo e l’ambiente, e la scoperta alla fine ha portato a vietarle in alcuni prodotti di consumo negli Stati Uniti.