Dopo la vittoria al primo turno di Inácio Lula Da Silva con 5 punti di vantaggio sul presidente uscente Jair Bolsonaro – 48,35% vs 43,26 – lo scontro si radicalizza tra i due candidati leader, essendo le percentuali degli altri talmente risibili (Ciro Gomes il più accreditato si è fermato al 3%, percentuale renziana) che i loro voti nel secondo turno del 30 ottobre non cambieranno le sorti delle presidenziali 2022. Chi farà veramente la differenza saranno gli astenuti, oltre il 30%, che i due schieramenti stanno cercando di accaparrarsi con tutti i mezzi possibili.
La propaganda su entrambi i fronti non conosce regole, coadiuvata dai media nazionali e dai social che a sinistra come a destra diffondono continue fake news contro entrambi i contendenti. I toni sono talmente accesi e diffamatori che Lula viene insultato quotidianamente con termini quali “ladrão” (ladrone) nonostante il processo di Curitiba sia stato invalidato lo scorso anno, mentre Bolsonaro è stato addirittura accusato di satanismo e pedofilia, a causa di una fake news, smontata rapidamente, di aver fatto sesso con due minorenni.
A seguito di ciò, Alexandre de Moraes, presidente del TSE (Tribunal Superior Eleitoral) emanazione della Corte Suprema (STF) ha decretato quanto segue: tutti i falsi accertati e i contenuti offensivi dovranno essere immediatamente rimossi sia dai media che dalle piattaforme social, pena oscuramento e la multa di 150.000 reais (circa 30.000 €). Una decisione che, pur auspicabile, ha il sapore di censura per i suoi possibili risvolti.
Questione Lula
Le prime decisioni sono state bipartisan: a Lula è stato ordinato di rimuovere dai suoi social tutti i video relativi alla diffamazione su Bolsonaro, mentre al sito bolsonarista Jovem Pan è stato proibito di usare termini offensivi come ladrão.
Secondo la redazione del sito, un delegato TSE sarebbe preposto ora al controllo dei testi. Vero o no, anche il New York Times ha pubblicato un articolo dove si mette in guardia il sistema giudiziario brasiliano ad evitare eccessi censori che possano sfociare in autoritarismo, specie se affidati a un uomo solo al comando. Ma in realtà questi eccessi sono già avvenuti colpendo gli stessi giudici: ha fatto scalpore il taglio ordinato da Moraes di un passaggio dell’intervista all’ex ministro Marco Aurélio Mello il quale aveva rimarcato che l’ex presidente non venne assolto dalle accuse, anche se la sentenza precedente fu annullata; ciò implica che la procedura dovrebbe ripartire da capo in altra sede. Lula venne condannato a Curitiba in primo e secondo grado, scontando 580 giorni di detenzione nella stanza dei poliziotti in trasferta. Entriamo così nel nocciolo della questione giuridica: Lula è innocente dalle accuse di corruzione e riciclaggio di denaro relative al triplex di Guarujá e del sito di Atibaia?
Dopo il voto di parzialità a sfavore di Moro decretato da STF lo scorso anno e la decisione di ripetere il processo a Brasilia analizzando ex novo lo stesso impianto probatorio, ne deriva che l’ex presidente non è stato formalmente assolto, anche se i presunti crimini si avviano verso l’inevitabile prescrizione, considerando pure che se venisse rieletto usufruirebbe del Foro Privilegiado, l’immunità parlamentare brasiliana. Ha detto bene la procuratrice Silvana Badini: “Non c’è alcun giudizio definitivo sull’attività criminale di Lula: poiché il processo è stato annullato, prevale la presunzione d’innocenza dell’imputato, secondo i dettami del diritto internazionale”. Probabilmente non sapremo mai se Lula è innocente o meno, tantomeno se tornerà ad essere presidente. Quello che sappiamo quasi per certo è che nei suoi confronti è stata commessa una violazione del suo diritto alla presunzione d’innocenza.
A mio parere, Moro e Dallagnol, pur avendo in mano elementi concreti sull’appartenenza degli immobili contestati a Lula e alla ex moglie, non avevano ancora prove certe sulla provenienza dai fondi Petrobras dei soldi per acquisto e ristrutturazioni pagati ad OAS, e si sono basati su casi simili riscontrati nello schema di Ponzi internazionale messo su dall’impresa Odebrecht, affrettando così le sentenze, per timore che se Lula avesse vinto le elezioni nel 2018 avrebbe poi insabbiato tutto usufruendo del Foro Privilegiado. Se fosse così si sarebbero dati la zappa sui piedi, mettendo a repentaglio Lava Jato. Se il PT torna al potere con il corollario dei partiti di centro, si rischia l’annullamento di tutti i processi.
Bolsonaro “The Bad Wolf”
Bullismo, razzismo e mancanza di visione di Stato, oltre al pessimo comportamento tenuto durante il periodo cupo del Covid, ostentando disprezzo verso le norme di sicurezza a fronte di una pandemia che ha mietuto quasi 700.000 vittime e silurando ben due ministri della Salute – tra cui l’ottimo Luiz Henrique Mandetta – fanno parte del poco invidiabile campionario che il presidente uscente ha collezionato durante il suo mandato. Senza dimenticare lo scontro che ha portato alle dimissioni di Moro, dopo che Bolsonaro aveva defenestrato il capo della Polizia Federale che indagava sulle tangenti intascate dal primogenito Flávio sugli stipendi dei suoi dipendenti.
Però è anche vero che il personaggio è stato preso di mira con particolare acrimonia dai media locali e internazionali che lo hanno costantemente additato come lupo cattivo e capro espiatorio di tutti i mali secolari del Brasile, al di là dei suoi pur innegabili demeriti. In primis, gli incendi in Amazzonia, appiccati dai latifondisti per far spazio alle colture intensive di soia e canna da zucchero, oltre ai disboscamenti per la raccolta del legname; sono piaghe ataviche del Brasile, mai contrastate seriamente dai governi di tutti i colori che si sono alternati prima del suo. Basti pensare che durante il primo mandato di Dilma Rousseff, furono applicati dei tagli radicali ai finanziamenti che supportavano le misure di controllo su incendi e deforestazione: 1,77 miliardi di R$ contro i 6,36 del secondo mandato di Lula. Oltre alle tragedie del crollo delle dighe di Mariana nel 2015 e di Brumadinho nel gennaio 2019, che uccisero quasi 300 persone, distruggendo ecosistemi vitali per le popolazioni indigene nello Stato di Minas Gerais.
Un’apocalisse dovuta essenzialmente al clima di laissez-faire adottato da Rousseff nei confronti delle multinazionali Vale e Samarco e delle loro consociate estere, che hanno fatto per anni il bello e cattivo tempo corrompendo indisturbati gli organi preposti alle certificazioni di sicurezza. Per finire, oggi l’inflazione in Brasile è attorno al 7%, con previsioni a fine anno di scendere a 5,7% per via dei sussidi sociali e del taglio al prezzo dei carburanti deciso dal governo. Meno della zona Ue che è prevista al 9% e lontana dal 100% di quella argentina. Tra l’altro, il Pil mantiene un trend positivo nel 2022 (+2.8) e la disoccupazione è al 8,9% a fronte del 13,5% ereditato da Dilma.
Foto © F.Bacchetta