“No, a loro una mamma non interessava, punto”. La denuncia di Giulia Scannavino, 28 anni, romana in cerca di impiego, è lucida e spietata. E’ racchiusa in un post su LinkedIn e sta generando sempre più messaggi di solidarietà e condivisioni. E’ virale. Selezionata da una celebre azienda, Giulia ha affrontato un colloquio di lavoro che, racconta, si è trasformato in un interrogatorio su di lei. Madre di un figlio piccolo. “Come farà a lavorare con un bimbo di due anni?”, “Come farà a trascorrere il giorno di Natale al lavoro e non a casa con suo figlio?”. E via così. Alla fine, una settimana dopo, arriva la risposta. Ed è negativa.
Giulia, che era arrivata alla fine delle selezioni e pensava che le chance di lavorare fossero concrete, la prende malissimo. Soprattutto, con una laurea triennale in lingue, ora studentessa magistrale in Development and international cooperation sciences all’Università La Sapienza e con diverse esperienze professionali alle spalle, le viene naturale pensare che l’essere mamma l’abbia penalizzata. Perché tutte quelle domande da parte dei recruiter sulla sua vita personale? Perché così poco tempo dedicato all’ascolto delle sue esperienze e competenze? Su Linkedin racconta come è iniziato il colloquio: “Ero di fronte a sei persone, tra chi mi faceva domande, chi guardava se muovessi le dita delle mani e chi guardava se per caso mi tirassi su gli occhiali sul naso o respirassi”. E prosegue: “Inizio a parlare del mio background formativo e in seguito elenco e spiego cosa ho imparato dalle mie esperienze lavorative. Un bagaglio non vasto, ma neanche troppo superficiale a 28 anni, direi”.
Fin qui tutto normale. Ma poi la situazione precipita, quando lei dice di avere un figlio piccolo: “La recruiter inizia a chiedermi come farò a lavorare con un bambino di due anni. Se ho pensato che la mia vita con un lavoro sarà ancora più frenetica. Mi chiede con voce provocatoria come farò a trascorrere il giorno di Natale a lavoro anziché a casa con mio figlio. Sempre con lo stesso tono, mi domanda come farò a non partire con lui durante le sue vacanze estive ad agosto e se soffrirò a mandarlo da solo al mare con il papà”. Lei replica serena che, avendo partorito durante pandemia, ha avuto tantissimo tempo da dedicare a suo figlio. E quindi arrivato il momento di pensare alla sua “carriera” per costruire un futuro migliore per lui.
Quando torna a casa però è profondamente turbata. Scrive nel post: ”Esco dal colloquio distrutta. Sono triste, amareggiata e scoraggiata perché quelle domande hanno frantumato il mio essere donna“. E chiarisce: “Non mi è stato chiesto cosa ho imparato dalle precedenti esperienze professionali e neanche quali fossero le mie aspirazioni future. Non hanno neanche letto il mio cv, se proprio dobbiamo dirla tutta”. Dopo sei colloqui tra individuali, collettivi, registrazioni in inglese Giulia si è sentita come un ostacolo, un impedimento. E quando una settimana dopo è arrivata la conferma dell’esito negativo ha voluto condividere questa esperienza con tutte le mamme in cerca di lavoro. “A 26 anni sono rimasta incinta – racconta – e quando l’ho saputo, l’ho detto piangendo al mio datore di lavoro con cui avevo appena firmato il contratto a tempo determinato. Ma non è stato rinnovato”. Oggi vive con il compagno e il figlio, hanno un solo stipendio. Servirebbe anche il suo di apporto. “Non ho scritto il post per accusare l’azienda, ma per esprimere il mio dispiacere verso una situazione ingiusta che vivono tante donne e ragazze”. Conclude: “Se avessi avuto una situazione più delicata alle spalle sarei crollata”.