Da giorni mi tormenta un dubbio, anzi due.
Quando Giorgia Meloni ha detto “Non sono ricattabile” in aggiunta alla lista di “complimenti” che Silvio Berlusconi aveva appuntato, aveva forse in mente la corposa motivazione con la quale la Procura di Palermo ha supportato la proposta di misure di prevenzione personali e patrimoniali nei confronti di Marcello Dell’Utri? In tal caso la frase di Meloni potrebbe essere riletta in questo modo: “Io non sono ricattabile, tu invece sì”.
Di questa proposta si è già occupato Il Fatto Quotidiano, dando notizia della sua bocciatura: il Tribunale di Palermo sezione misure di prevenzione l’ha respinta. La partita però non è chiusa: la Procura generale ha fatto appello, vedremo. La proposta redatta dalla Procura di Palermo e firmata dal Procuratore Lo Voi, dall’aggiunta Marzia Sabella e dai sostituti Ferrara e Camilleri raccoglie un lavoro diagnostico impressionante per ampiezza e precisione durato quasi dieci anni, da quando cioè la condanna per concorso esterno di Dell’Utri è diventata definitiva. Una condanna evidentemente solida perché ancora produttrice di conseguenze, figlia di un processo iniziato quando procuratore della Repubblica a Palermo era Gian Carlo Caselli.
Un lavoro certosino che al di là di quello che sarà l’esito giudiziario specifico (l’applicazione o meno delle misure di prevenzione personali e patrimoniali a Dell’Utri) ha senz’altro il merito di ricapitolare quarant’anni di storia, che è storia di Dell’Utri, ma anche di mafia, di Berlusconi, di aziende (da Publitalia a Fininvest), di processi e condanne ormai definitive, offrendo a chiunque voglia (persino a chi ricoprisse pro tempore ruoli istituzionali, financo parlamentari) l’occasione di riflettere su uno dei misteri repubblicani più resistenti. Il mistero della granitica innocenza di Berlusconi.
Nonostante tutto ciò che (ancora una volta) si legge nella ricapitolazione offerta dalla Procura di Palermo, Berlusconi è sempre uscito indenne da ogni tentativo giudiziario che abbia cercato di considerarlo responsabile di un criminale rapporto con la mafia (volutamente scritto minuscolo, perché onnicomprensivo). La prova che Cosa Nostra abbia investito miliardi nella fondazione dell’impero berlusconiano non si è mai trovata; è invece acclarato ormai che Berlusconi abbia pagato per anni Cosa Nostra ma soltanto perché aveva paura: una vittima, insomma, ed avere paura non è reato.
Un Berlusconi, dunque, a cui la mafia avrebbe sempre e soltanto fatto schifo e terrore, un Berlusconi che pur di sopravvivere e far lavorare le sue aziende avrebbe scelto obtorto collo la via del silenzio e della soggezione, un Berlusconi che, caduto infine preda di una forma gravissima di sindrome di Stoccolma, si sarebbe innamorato di quel mediatore asfissiante impostogli da Cosa Nostra, Dell’Utri appunto, lusingandolo e omaggiandolo oltre ogni dire con fiumi di denaro e ruoli istituzionali di primo piano.
Ed è così che arrivo al secondo dubbio.
L’interessante ricapitolazione della Procura di Palermo ripesca una curiosa vicenda giudiziaria del 1996, che ha avuto per protagonisti i nostri soliti noti, una vicenda apparentemente secondaria perché legata “soltanto” all’evasione fiscale. Una vicenda nella quale Dell’Utri è stato condannato (lui soltanto, si capisce) alla pena di due anni e tre mesi di reclusione per violazione delle norme contro l’evasione delle imposte sul reddito e sul valore aggiunto, per gli anni ’88-’94.
Nella sentenza emerge questo episodio che i giudici redattori della proposta definiscono “singolare e che può contribuire a fare luce sui rapporti patrimoniali sussistenti tra il proposto e Silvio Berlusconi”. In buona sostanza i nostri eroi avevano fatto finta di litigare davanti al Pretore di Milano: nello specifico Dell’Utri aveva, udite udite, intentato una causa di lavoro contro Fininvest, lamentando una sofferenza multimiliardaria.
La lite terminava con una transazione: Fininvest accettava di pagare oltre quattro miliardi a Dell’Utri pur di fare la pace. Ce lo possiamo immaginare il Berlusconi in formato “obtorto collo” che si piega a pagare, pur di far tacere il bombardamento scatenato dal sodale (divenuto per l’occasione acerrimo nemico) nel perimetro severo della Pretura milanese. Peccato che – ha poi stabilito il Tribunale – fosse tutto finto: bombardamento, litigio, collo torto.
Tutto finto, fatto apposta (in quel caso) per frodare il fisco: la transazione pacificatoria, infatti, essendo esentasse in quanto composizione volontaria di una lite giudiziaria riduceva di circa due miliardi l’esborso che altrimenti Fininvest avrebbe sopportato per ricompensare Dell’Utri delle sue prestazioni. Mica male! E se fosse questa la chiave per interpretare e comprendere il mistero della granitica innocenza berlusconiana?