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Alfonso Signorini sulla scelta di Giorgia Meloni: “È “la” presidente del Consiglio e non è questione di femminismo ma di participio”

Dello stesso parere del direttore di Chi anche Lilli Gruber che in apertura di puntata a Otto e Mezzo ha detto: "Lo dico alle spettatrici e agli spettatori - ha esordito Lilli Gruber a Otto e Mezzo - continueremo a chiamare Giorgia Meloni 'la' Presidente del Consiglio o 'la' Premier..."

di Giuseppe Candela

Giorgia Meloni, prima donna capo del governo, nelle sue comunicazioni ufficiali ha scelto di usare il maschile per indicare il suo incarico. “Il” e non “la” presidente del Consiglio. Una decisione che ha suscitato parecchi malumori, per molti rappresenterebbe un fallimento lessicale con una sottolineatura alla mancata rivendicazione sociale e politica. “Lo dico alle spettatrici e agli spettatori – ha esordito Lilli Gruber a Otto e Mezzo – continueremo a chiamare Giorgia Meloni ‘la’ Presidente del Consiglio o ‘la’ Premier perché ci sembra semplicemente anacronistico nel 2022 questa specie di distinzione”, ha spiegato la giornalista.

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Contro la decisione di Meloni si è espresso anche Alfonso Signorini: “È “la” presidente del Consiglio: non è una questione di femminismo, ma di participio“, il titolo del suo editoriale sul settimanale Chi. “Care lettrici, cari lettori, sono vecchio. Appartengo a una generazione diversa, che non si riconosce più in ciò che vede in giro. (…) Sono di quelli che parlando di Giorgia Meloni dicono ‘la presidente del Consiglio‘, non certo per retaggi femministi, ma semplicemente perché presidente deriva dal participio presente del verbo presiedere. E non mi sognerei mai di definire Orietta Berti un cantante (participio presente del verbo cantare). Sono vecchio, lo ammetto. Ma beata vecchiaia”, scrive il conduttore del “Grande Fratello Vip“.

La scelta di Giorgia Meloni aveva suscitato nei giorni scorsi anche la protesta dell’Usigrai (Unione Sindacale Giornalisti Rai) che aveva parlato in una nota del rischio di “un pericoloso arretramento”. Anche la scrittrice Michela Murgia si è mostrata molto critica nei confronti della leader di Fratelli d’Italia: “Bisognerebbe chiedere a Giorgia Meloni per quale motivo ce l’ha con la lingua italiana. Perché ‘il presidente’ ha il suo femminile che è ‘la presidente’, quindi non è che si può arbitrariamente decidere quale parte della grammatica italiana rispettare e quale parte no. Quindi non è questione di femminismo, è questione di parlare la nostra lingua”.

“Dal punto di vista simbolico lei, che pretende l’articolo maschile sta dicendo ‘io governerò come un maschio’. E questo credo sia la migliore risposta possibile a chi gioisce per una donna al potere. Non è il sesso di chi comanda che conta, è il modello di potere che si ricopre. Il modello di potere di Giorgia Meloni è quello maschilista ‘al maschile’“, aveva concluso la scrittrice sarda. Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, ha spiegato la sua posizione: “I titoli al femminile sono legittimi sempre; chi usa questi femminili accetta un processo storico ormai ben avviato. Chi invece preferisce le forme tradizionali maschili ha comunque diritto di farlo”, le sue parole all’Adnkronos. Per Marazzini “alcune donne non si riconoscono nelle scelte linguistiche della tradizione femminista di marca anglosassone e ribadiscono la propria diversità attraverso scelte alternative di immediata evidenza. In questo modo mettono in luce il valore ideologico delle opzioni linguistiche sul genere (le proprie, ma indirettamente anche quelle avverse). Sarebbe riduttivo giudicare tutto questo come una semplice questione grammaticale, perché non lo è affatto“.

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