Il volume (Compagnia Editoriale Aliberti) è in uscita il 26 ottobre così come la serie. E noi di FQMagazine ne abbiamo un estratto da non perdere
“BORIS” E IL DECALOGO DI RENÉ FERRETTI
Il 16 aprile 2007 su Fox va in onda Boris, la prima fuoriserie italiana e niente da quel momento è più come prima… o quasi. Boris – prodotta dalla «vecchia» Wildiside di Lorenzo Mieli, nelle stagioni 1, 2 e 3, nata da un’idea di Luca Manzi e Carlo Mazzotta, firmata da Mattia Torre, Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, che ne è anche il regista, con la sigla di Elio e le Storie Tese – rappresenta un punto di svolta nelle produzioni televisive nazionali perché per la prima volta un gruppo di lavoro della Penisola rompe gli schemi, cambia registri e mette a segno un colpo magistrale, dando vita a un progetto geniale, divertente e dissacrante a cui prendono parte solo talenti. Il fenomeno si ripete per tre stagioni e culmina in un lungometraggio. Poi, però, l’esempio rimane isolato e le produzioni italiane riprendono l’abituale e ripetitiva forma tradizionale, tanto prevedibile quanto collaudata.
Il successo di Boris è immediato e tra tutti i protagonisti, professionisti che negli anni seguenti si ritaglieranno un ruolo centrale anche in altri progetti, il regista René Ferretti diventa vero e proprio oggetto di culto. E così come per figure mitologiche quali Fonzie o la Signora Fletcher, René e i suoi modi di dire entrano nel quotidiano dei tanti appassionati seguaci che vedono nell’attore che presta voce e volto al loro eroe, ovviamente Francesco, un amico, un punto di riferimento… un filosofo. Nessuno, da Boris in poi, farà mai qualcosa “a cazzo di cane” senza pensare al regista de Gli occhi del cuore.
Roberto Corradi: Come arrivi a Boris? Conoscevi qualcuno dei tre autori?
Francesco Pannofino: Nessuno. Qualcuno si era ricordato di me, mi aveva visto al Teatro dell’Orologio, a Roma, mentre ero in scena con Esercizi di stile e ha pensato che potessi essere adatto per quel ruolo, sia perché, bontà sua, mi riconosceva un talento, sia per caratteristiche fisiche precise. E così ho fatto il provino come tutti e mi hanno preso.
Come nasce René Ferretti?
Mi chiedono spesso a chi mi sia ispirato per interpretarlo. In realtà nasce dalla semplice messa in scena di quello che era scritto nel copione. Però non c’è nulla di strano o di fenomenale, in questo. Tieni conto che venivo da anni di esperienze, di teatro, di incontri con grandi professionisti. Avevo già lavorato con, non lo so, cinquanta registi? E alla fine devo aver assimilato dei modi. I registi hanno delle caratteristiche che li accomunano: sono ovviamente ansiosi, cercano disperatamente di evitare rotture di scatole… quando qualcuno gli si avvicina, li vedi che pensano: «Eccolo… Questo mo me viene a rompe ’r cazzo» Capito? René è nato da un mix di caratteri e di identità che devo aver assimilato nel tempo, senza neanche rendermene conto. E che stesse venendo bene l’ho capito da come memorizzavo le battute. Mi bastava leggerle due volte e le sapevo a memoria. Quando succede così, significa che hai il personaggio in pugno.
Vi divertivate a fare Boris?
Sììì. Come no?! C’era un furore creativo incredibile. L’atmosfera che si respirava sul set era eccezionale e questo è determinante per la riuscita di un progetto. Se senti che tutti ci credono, che tutti remano a favore… è fatta. Poi, sai, nelle troupe, nei cast, c’è sempre il cagacazzi, quello che si lamenta, quello che fa una parte più piccola, quello che infastidisce, quello che non glie va de lavora’, quell’altro che dice “ma che me frega a me?”, c’è di tutto sempre… ma sul set di Boris c’era un’assoluta prevalenza di entusiasmo, di atteggiamento positivo.
Quando hai capito che tipo di lavoro stava venendo fuori?
Da prima di qualsiasi cosa, quando ho letto la prima puntata che m’hanno mandato per fa’ il provino. Mi sono detto “questa è una genialata”. Erano le scene del pilota, cioè dell’episodio che serve a valutare il progetto, le sue possibilità. Durava venti minuti e l’ho letta d’un fiato… era perfetta e mi sono incuriosito, non si trattava di uno dei soliti lavori, c’era qualcosa di potenzialmente insuperabile. E tutto era una sorpresa, non conoscevo nessuno di quelli che sarebbero diventati miei colleghi. Cioè, con molti di loro mi ero incrociato su altri set, altri li conoscevo di fama, ma con nessuno avevo seriamente condiviso un lavoro. La conferma che stavamo dando vita a un buon progetto ce l’ho avuta appena sono cominciate le riprese. Sai, quando un film, una serie, sono di qualità, te ne accorgi già sul set: vedi che cominciano ad arrivare i produttori, gli uffici stampa, i responsabili della rete… c’è un viavai di persone in apparente assetto da visite turistiche che in realtà sono lì tutti sorridenti e carini perché hanno visto il materiale, gli è piaciuto e non vedono l’ora si concretizzi. Ovviamente tu non troverai mai qualcuno che, mentre stai lavorando a un film, ti dica “il materiale fa cacare”… però te ne accorgi quando quelli del mestiere sono sinceramente entusiasti per qualcosa.
Con “quelli del mestiere” intendi il vero Lopez e il vero dottor Cane, cioè i veri responsabili della rete, che in questo caso era Fox?
Sì, i veri. Quelli che erano rappresentati. E quando uscì Boris, tutti cercarono di farsi identificare con i personaggi che venivano inscenati. Ricordo Saccà che disse: «Io sono il dottor Cane!» Si auto-nominavano ispiratori di una certa identità. E, come ti dicevo prima, tutti mi hanno massacrato cercando di estorcermi una paternità di René Ferretti. A un certo punto, anche un po’ per rispondere qualcosa, ho fatto il nome di D’Alatri. Il suo aiuto regista, quando poi abbiamo lavorato insieme, mi diceva: «Ma ti sei ispirato a lui per fare Ferretti?» Io in realtà a quel tempo neanche lo conoscevo, non sapevo proprio che aspetto avesse. Poi l’ho conosciuto e ho scoperto quest’uomo anche simile a me fisicamente, con gli stessi baffi, lo stesso sorriso, la stessa grinta e ho detto: «Eccolo, è lui! Lo conoscevo già, allora». Ma si è trattato di un caso, di una coincidenza molto divertente, nulla di più. Poi alla conferenza stampa di Un caso di coscienza, una fiction Rai1, dissi che mi ero ispirato al regista, Luigi Perelli che era presente. Quindi René è tutti e nessuno.
Ma secondo te che lo conosci bene, qual è il modo di vedere la vita di René Ferretti? Se dovessi dare un decalogo dettato da lui, che diresti?
Allora… vediamo.
Quando fai una cosa, deve esse’ perfetta! Altrimenti, falla a cazzo de cane… va bene uguale.
Se non sei nessuno, statte zitto.
Se sei qualcuno parla, ma nun rompe’ ’r cazzo.
Ai cretini non glie devi spiega’ le cose, gliele devi fa’ fa’ e basta.
Se non sai come fa’ fa’ ’na cosa a ’n cretino, sei cretino pure tu e allora lascia perde’.
In faccia diglie de sì. A chiunque. Poi, fai come te pare. Sempre.
Quando senti che te vie’, strilla! Strilla forte, manda tutti affanculo. Ma forte!
Quando trovi uno più forte de te… ma che sei scemo? Diglie de sì subito!
Tu vuoi fa’ cento, loro te vogliono fa’ fa’ dieci, fai dieci se no non fai manco uno.
Sbattetene il cazzo de tutto quello che te ho detto fino a mo’ e fa’ sempre come te pare. E non rompe’ ’r cazzo.
… grosso modo.
Per me d’ora in poi questa è legge. Però adesso mi devi raccontare come ti hanno trattato i registi, quelli veri, dopo Boris.
Quelli che conoscevano René Ferretti mi hanno cominciato a trattare con devozione, come fossi sant’Antonio, in un gioco delle parti stupendo. Ferretti era il grande regista di grandi lavori di merda e loro solo i suoi umili seguaci. La vera follia l’ho avuta per strada, quando mi hanno cominciato a riconoscere gli appassionati di Boris che io ormai so distinguere al primo sguardo dagli altri. La vecchietta che guardava Nero Wolfe o i ragazzini che seguivano I Cesaroni ti guardano con affetto, con simpatia, ma i fan di Boris sono totalmente fuori controllo. E non parlo solo del pubblico. Noi personaggi di Boris siamo diventati i beniamini delle troupe, delle produzioni… cazzo de cane, dai dai dai, ma tu chi cazzo sei?, smarmella, apri tutto… sono tutte espressioni mutuate dalla nostra serie che sono entrate nei frasari più disparati, ma non solo nell’ambiente dello spettacolo. Ho scoperto che dovunque ci sia una gerarchia, quindi dappertutto nel mondo del lavoro, queste espressioni hanno trovato un’applicazione. Addirittura su YouTube montano ad arte passaggi particolarmente coloriti di René Ferretti con sequenze tratte dall’attualità. Qualcuno ha montato il filmato di Berlusconi che dice che scende in campo con René che, mentre sta girando, si toglie le cuffie e urla “sei entrato in campo, li mortacci tua” più una serie di improperi sui quali adesso sorvolo e che erano destinati allo stagista, il personaggio interpretato da Alessandro Tiberi. La stessa cosa è successa con la Raggi, qualcuno ha messo insieme il passaggio in cui lei diceva “Il vento sta cambiando” all’indomani della sua elezione con René Ferretti che commentava “cagna maledetta!” riferito però al personaggio di Corinna Negri, interpretato da Carolina Crescentini. Ma io non ho neanche idea di chi siano gli autori di questi montaggi e alla sindaca l’ho anche detto, quando ci siamo conosciuti. Ma lei è stata simpatica, ha riso, mi ha detto: «Non sai come m’hanno preso per il culo pe’ quel filmato!»
Come mai Boris non venne trasmessa dalla Rai?
Non so bene di preciso, so che ci furono dei contatti ma non si arrivò a un accordo, così andò in onda su Fox. Ma parliamo del 2008, del digitale… immagini quanto pubblico potesse raccogliere un’emittente così? Il grosso degli spettatori Boris l’ha radunato con la rete, la gente s’è scaricata le puntate, le ha condivise, è diventato un fenomeno. Poi, qualche anno fa, finalmente c’è stato il passaggio su Rai3, ma Boris era già nell’Olimpo dei programmi cult.
C’è un ricordo di Boris a cui ritorni spesso e con più piacere?
Dunque… quando la serie cominciò a prendere piede tutti volevano partecipare e se li nominavamo, erano tutti felici. Fabrizio Frizzi fu tra quelli più entusiasti.
Ricordiamo il passaggio in cui veniva menzionato?
Sì, dunque, Lopez, interpretato da Antonio Catania, doveva spiegare a Mariano, il personaggio impersonato da Corrado Guzzanti, perché non fosse adatto per un ruolo, quello del fantomatico Beato Frediani, e l’argomentazione riguardava la scelta che la rete avrebbe fatto circa un attore di prima fascia, cioè Fabrizio Frizzi. Con la specifica che se poi Frizzi non avesse accettato, la scelta sarebbe caduta su Amadeus. Fabrizio di questa menzione fu felicissimo. Era un fan di Boris e in quel periodo conduceva un programma in diretta su Rai3 e mi volle suo ospite nel giorno del mio compleanno. Mi fece un’intervista di venti minuti, fino a quel momento non mi era mai capitato che una trasmissione dedicasse così tanto spazio a me. E tieni anche conto che in quel momento, nonostante il successo di Boris, non ero poi tanto conosciuto. Fabrizio fu gentile, simpatico come sempre, come lo abbiamo visto ovunque. Poi l’ho incontrato qualche anno dopo, per caso, a Piazza Mazzini, e ci siamo salutati con affetto. Ti posso confermare quello che hanno detto tutti all’indomani della sua scomparsa: Fabrizio Frizzi era veramente un uomo buono. Sempre gentile con tutti, sempre rispettoso… così come si vedeva in televisione. Io la vedevo l’Eredità, la vedo ancora… mi piace indovinare la parola e la indovino quasi sempre… ma quando era Frizzi a presentarla rimanevo colpito dal suo modo così garbato di porsi. La notizia della sua morte è stata terribile per me. Ero fuori per lavoro, non ho neanche potuto andare al suo funerale. E mi ricorderò sempre quanto si era divertito a sentirsi nominare in Boris. In quel periodo fior di nomi avrebbero fatto carte false per partecipare alla serie… o anche, appunto, per essere solo nominati. Boris ha avuto tre stagioni e un lungometraggio. Nel film, il personaggio di un’attrice era ispirato a Margherita Buy, che non solo non si è infastidita, ma si lamentava che nessuno l’avesse intervistata per raccogliere le sue impressioni. Secondo me fa piacere sentirsi nominati. Quando in un quiz in tv, chiedono il mio nome e come indizio danno “doppiatore di George Clooney” a me fa piacere. E c’è stato un momento in cui tutti volevano prendere parte a Boris. Qualcuno mi chiedeva di segnalarlo ma, tutte le volte che ci provavo, non venivo neanche preso in considerazione al punto tale che ho cominciato a dissuadere chi mi avvicinava dal coinvolgermi come apripista perché sarei stato controproducente.
L’estate scorsa [luglio 2019, NdR] è venuto a mancare Mattia Torre. Mi lasci un tuo ricordo di lui?
Non è facile. Era un ragazzo di grande talento, di grande classe… gli volevo molto bene, gliene volevano tutti. Mi piace ricordare un episodio, marginale se vuoi, ma che rende bene come fosse Mattia Torre, anche sul set. Stavamo girando Ogni maledetto Natale, sempre a firma dei tre registi di Boris. A un certo punto c’era una scena in cui Laura Morante mi dava uno schiaffo. La mia battuta, quella che innescava la sua reazione, non lasciava prevedere una mossa del genere e così, mentre lo giravamo, io incassavo il colpo e poi dovevo in qualche modo capire come reagire. La giriamo, lei mi dà ’sto sganassone e io la guardo in un modo che non doveva aver convinto Mattia, che infatti mi si era avvicinato per darmi dei consigli. Lo sottolineo perché non tutti i registi lo fanno. Non che ci sia qualcosa di male se un regista dice ad alta voce, all’attore, davanti a tutti, come vuole che un’intenzione venga data, rimanendo seduto davanti al monitor… ma è un riguardo che descrive Mattia Torre meglio di tante parole. Comunque, ti dicevo, Mattia mi si avvicina e mi fa: «Senti, Francesco, cerca di far venire fuori il tuo stupore!» La rifacciamo e lei – sbam – mi ridà ’sta sgargamella, io la guardo male e di nuovo Mattia torna e mi dice: «France’, non fa’ niente! Non devi fa’ niente! Prendi lo schiaffo e rimani impassibile. Se no sembra che vuoi reagi’!» Al terzo ciak, per farmi capire come reagivo alla botta di lei, mi descrisse che faccia facevo dicendomi: «A Panno, te parte il coatto!» Voleva dire che si capiva che davo al personaggio una sfumatura di desiderio di vendetta che non avrei dovuto e a quel punto capii come voleva che la girassi e fu buona subito. Aveva saputo trovare la frase che aveva colto nel segno e mi aveva fatto capire la scena.
Mattia era un fuoriclasse, era insuperabile nella battuta dell’ultimo momento, quella che, mentre giravamo, gli veniva e ti suggeriva all’impronta, azzeccandoci sempre. Ci mancherà.