Cesare Zavattini (1902-1989), soggettista e sceneggiatore per grandi registi, ma non solo, ha trascorso buona parte della vita battendosi per la pace, attraverso i suoi testi, i suoi interventi, i suoi progetti, ma non per un concetto astratto di pace, bensì per una pace che avesse “concretezza tangibile di un qualcosa da subito afferrabile e gestibile nella vita di ognuno”, scrive Gualtiero De Santi, professore ordinario di Letterature Comparate presso l’Università degli Studi di Urbino, nella postfazione del volume Cesare Zavattini, la Pace. Scritti di lotta contro la guerra (La Nave di Teseo) che verrà presentato il 29 ottobre prossimo a Roma, alle 17.30, presso l’AAMOD di via Ostiense 106.
Un libro di estrema attualità, nonostante i testi vadano dalla metà degli anni ’40 alla metà degli ’80. D’attualità perché viviamo un momento storico in cui ci si riempie la bocca con la parola Pace, ma nulla si fa per ottenerla concretamente (con l’eccezione di Papa Francesco e pochi altri…). Si vive in un mondo in cui i grigi non esistono più: tutto o è bianco o è nero, o stai con Putin o stai con Zelensky, ed è sempre più difficile rivendicare il sacrosanto diritto a non stare né con l’uno né con l’altro, mentre la popolazione ucraina muore sotto le bombe dei soldati russi che, a loro volta, vengono mandati allo sbaraglio e decimati senza neppure sapere perché.
Se fosse stato ancora vivo, quale posizione avrebbe preso sul conflitto in Ucraina il pacifista strutturale Zavattini, questa sorta di Gandhi della Bassa Reggiana? Lui che scrisse film per Vittorio De Sica (fra i tanti altri, Sciuscià, ’46, Ladri di biciclette, ’48, Miracolo a Milano, ’51, Umberto D. ,’59, ma anche per Fellini, Blasetti, Antonioni, Germi, Lattuada, Rossellini, Visconti, solo per citare alcuni dei Maestri con i quali collaborò – lavorò anche con registi stranieri come René Clément per Le mura di Malapaga, ’49, con Jean Gabin). Il solo film tutto suo (scritto, diretto e interpretato) fu il curioso La veritàààà del 1982, di cui si riportano brani nel libro in presentazione, che offre anche due soggetti cinematografici inediti intitolati La guerra, uno del ’46, l’altro del ’54.
Scriveva Zavattini: “Fra voi ci sono persone intelligenti, persone stupite, persone serie, buffoni, adulteri, ruffiani, truffatori, poeti e santi. Ci sono persone certamente migliori di me, nel senso che siete più equilibrate, meno nevrotiche, più discrete, più coerenti. E tuttavia non fate meglio di me, fingete di fare meglio, nessuno di voi è in grado di rispondere: io faccio questo di specifico, di preciso, per evitare la guerra”. Sembra un appello ai padroni del mondo di oggi, ai politici, agli opinionisti.
Zavattini è stato un intellettuale infaticabile, vulcanico, vicino ai poveri e a chi non ha voce in capitolo, ma anche allegro e vitale. Non è stato certo il tipo di colto spocchioso, non ha mai predicato isolandosi su torri d’avorio e, pur essendo stato grande amico di Italo Calvino, Salvatore Quasimodo, Ignazio Buttitta, Rafael Alberti e molti altri autori presenti nel panorama culturale dei suoi anni, ha sempre preferito stare in mezzo alle persone, soprattutto quelle più sfortunate, e a loro ha dedicato la maggior parte delle proprie opere, letterarie e cinematografiche (Miracolo a Milano, ambientato in una baraccopoli di straordinaria umanità, è forse l’opera zavattiniana che meglio esprime la sua essenza poetica popolare, esempio insuperabile di ‘angelismo’).
Anche l’uso, spesso frequente, in poesie e opere, del dialetto emiliano, quello che parla la gente a Luzzara (Reggio Emilia), suo paese natale in riva al Po, è una ennesima dimostrazione di vicinanza reale alla ‘base’, quella che oggi la sinistra sembra aver disperatamente perduto. Zavattini non era iscritto al Pci, ma era un vero uomo di sinistra e nel ’55 vinse il premio Lenin per la pace. Aveva tentato la strada dei Cinegiornali della pace (1962-’63) e aveva proposto un’ora di ‘pace’ nelle scuole. “Non è che disistimi la politica – scriveva nel 1982 – ma l’uomo con quale pensiero si prepara ad assumere il compito della pace?”. E ancora, nel 1984: “Il problema non è avere torto o ragione, due termini decaduti; bensì collaborando in questo modo a portare la realtà, diminuire la mediazione che tende troppo a diventare spettacolo, del quale abbiamo dei superbi campioni nazionali. Tuttavia non sempre si aiuta a capire che non capiamo. C’è uno sdegno e un’organizzazione adeguata al fenomeno mostruoso della guerra?”.
“Non molte sere fa alla televisione un eminente uomo di Stato ha dichiarato che se ci sarà un’altra guerra, loro (gli americani) dopo la recente sconfitta sanno già che fare per evitarne una seconda, andare subito dritto al cuore del nemico. Si può essere più semplici? E più spaventosi? Più lontani dal barlume di una civiltà alternativa a questa mostruosità in atto?”. Sembra di sentir parlare Papa Francesco… E, rivolto ai bambini: “Terremo lontano non solo la terza guerra mondiale, ma quei ritorni odiosi che infestano le cronache, per arginare i quali urge ben altro che la sostituzione del capo della polizia e sul video ben altro che ‘parole gentili di riconoscimento’ del regime”. Ipse dixit, era il 1985, ma potrebbe essere oggi.