Per il momento non è un problema. Potrebbe però diventarlo presto. Anche se il centrodestra ha vinto nettamente le elezioni del 25 settembre scorso, infatti, la maggioranza che sostiene il governo di Giorgia Meloni potrebbe presto doversi preoccupare dei numeri al Senato. Proprio l’aula di Palazzo Madama che oggi dovrà esprimersi sul voto di fiducia. Dopo aver ottenuto il via libera con un’ampia maggioranza alla Camera (con 235 favorevoli, 154 contrari e 5 astenuti), oggi l’esecutivo passerà indenne anche la prova al Senato: su 206 senatori, infatti, la maggioranza ha a disposizione 115 voti. Un vantaggio ampio se si pensa che l’opposizione rappresentata dal Pd (38), i 5 stelle (28) e Azione/Italia viva (9) e Verdi/Sinistra (4) hanno 79 voti. A questi vanno sommati alcuni senatori a vita (Liliana Segre, Renzo Piano, Mario Monti), la senatrice Dafne Mussolino, eletta con la lista dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, più gli iscritti al Gruppo Autonomie: sono 11 voti e portano a 90 il totale dei senatori che potenzialmente non voterebbero il sostegno al governo.

Sulla carta dunque per la maggioranza che sostiene Meloni non ci sarebbe alcun problema. Almeno per il momento. Il condizionale va usato per il futuro, cioè per quando le attività parlamentari e quelle di governo entreranno a regime. Dell’esecutivo, infatti, fanno parte ben nove senatori, cioè Elisabetta Casellati, Matteo Salvini, Anna Maria Bernini, Luca Ciriani, Adolfo Urso, Roberto Calderoli, Nello Musumeci, Daniela Santanchè e Paolo Zangrillo. Dirigere un dicastero è un attività impegnativa e dunque è praticamente scontato che i nove ministri-senatori non parteciparanno alle attività d’Aula. E ovviamente ai lavori delle commissioni, dove il governo potrebbe spesso rischiare di andare sotto. Col taglio dei parlamentari, infatti, anche le commissioni hanno subito una riduzione nei numeri: l’effetto è che anche un solo parlamentare mancante può cambiare l’esito di una votazione.

Bisogna poi considerare il fatto che Ignazio La Russa da presidente non vota per prassi e ovviamente non fa parte di alcuna commissione. E poi che Silvio Berlusconi parteciperà molto raramente ai lavori di Palazzo Madama. Ecco quindi che i voti certi del centrodestra a Palazzo Madama passano da 115 a 104. Un numero che potrebbe ulteriormente diminuire. Alla squadra di governo, infatti, mancano ancora i sottosegretari e i viceministri: saranno nominati nei prossimi giorni, probabilmente entro il 3 o 4 novembre. Da quel momento è molto probabile che altri senatori lasceranno libero il seggio a Palazzo Madama per andare a occuparsi di attività ministeriali. A cominciare da Giovanbattista Fazzolari, senatore di Fdi e fedelissimo consigliere della premier (lo chiamano “il Gianni Letta di Giorgia Meloni”) che dovrebbe essere nominato sottosegretario all’attuazione del programma. Ambisce a un ruolo di governo anche il leghista Claudio Durigon e diversi altri berlusconiani.

In tutto, secondo i rumors, gli eletti al Senato che sono in lizza per un posto da sottosegretario o viceministro sono tra quasi venti. Un numero alto che rischia di creare qualche grattacapo al governo. A certificarlo è anche Luca Ciriani, ministro dei Raporti per il Parlamento che ieri ammetteva di essere un “pochino più preoccupato” per i numeri della maggioranza a Palazzo Madama: “Stiamo cercando un equilibrio. Non è facile. Tutti hanno l’ambizione, qualcuno ha anche il merito, ma non basta”, ha detto l’esponente di Fdi, ammettendo in un’intervista al Corriere della Sera che dal Senato “è più difficile distaccare persone al governo. È una questione di numeri. I candidati sono una quindicina. Ma la maggioranza ha 115 senatori, 106 dopo la nomina di 9 ministri, meno 15 ci avvicineremmo pericolosamente alla soglia critica di 90-91. L’opposizione ne ha 85. Non possiamo essere appesi ai senatori a vita”. Ecco perché Ciriani chiede ai senatori ministri e a quelli che saranno nominati sottosegretari di non sottrarsi all’aula: “Non ci hanno eletto per fare turismo. Non è automatico che chi è nominato non voti. Ma è ovvio che serva un bilanciamento con i deputati“. In alternativa il governo Meloni è destinato a soffrire.

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