“È un ritorno al passato, dallo spacchettamento delle politiche del mare fino alla corsa al gas e agli inceneritori”. Saputa la formazione del Governo Meloni, è stato questo il commento a caldo di Sergio Costa. Già generale dei Carabinieri forestali, da politico del M5S è stato l’ultimo ministro ‘dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare’, durante primo e secondo governo Conte. Ora è vicepresidente della Camera dei deputati, mentre ‘il suo ministero’ cambia ancora una volta nome. Dopo che Draghi ha consegnato nelle mani di Roberto Cingolani il super-ministero della Transizione ecologica, infatti, Giorgia Meloni ha ora affidato al piemontese Gilberto Pichetto Fratin (FI) il nuovo ‘Ministero dell’Ambiente e delle Sicurezza Energetica’. Difficile fare previsioni, ma il nome è già un programma. Ilfattoquotidiano.it ha chiesto all’ex ministro Costa cosa ne pensa dei dicasteri strategici per le questioni ambientali. Cingolani consulente? “Il vero problema è che resta la sua linea e ci porterà lontano dai target europei e in una posizione di marginalità nella lotta al climate change”.
Il ministero della Transizione Ecologica oggi è il ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica. Scompare il riferimento all’Ecologia.
“Da un lato sono contento che il nome di base sia ministero dell’Ambiente. Avrei preferito che anche il ministero della Transizione ecologica si chiamasse ministero dell’Ambiente e per la Transizione ecologica. Mi preoccupa, però, il riferimento alla sicurezza energetica, un concetto che non riguarda e, anzi, stride con quello di tutela ambientale. È come se si stesse immaginando di mettere in sicurezza il Paese, indipendentemente dal tipo di energia. Ma il tipo di energia incide sul climate change che, a sua volta, incide sull’ecologia del pianeta, sulla biodiversità e sugli ecosistemi. Questa ‘sicurezza energetica’ mi lascia perplesso, perché diventa quasi contingente al momento, senza visione politica. È pur vero che si mette il sigillo a un percorso ormai intrapreso da tempo. Il miTe era già concentrato sulla sicurezza energetica, soprattutto attraverso il gas, le trivellazioni e una certa apertura al nucleare di terza e quarta generazione”.
Un passo indietro, allora: febbraio 2021, Governo Draghi. Il super ministero della Transizione ecologica avrebbe dovuto superare ostacoli e limiti di competenza, che più volte avevano fermato il ministero dell’Ambiente. È stato così? C’è qualcosa che lei non poteva fare perché aveva le mani legate (per esempio dal ministero dello Sviluppo Economico) e che Cingolani, invece, ha potuto fare?
“Non avevo la competenza per l’energia, assegnata invece a Cingolani. Il mio ministero si occupava del settore energetico solo nel momento in cui c’era bisogno, a livello nazionale, di una Valutazione di impatto ambientale o di una Valutazione ambientale strategica. Attraverso e nell’autonomia delle Commissioni Via-Vas, esisteva una competenza gestionale-amministrativa, ma avevo un limitato potere decisionale sul tipo di energia da favorire. Non solo: i decreti sulle energie rinnovabili o il Piano nazionale integrato energia e clima erano siglati a firma congiunta con i ministri dello Sviluppo economico e delle Infrastrutture. Cingolani e Fratin, invece, avevano e hanno la possibilità di incidere in modo molto più consistente, esprimendo una visione politica in tema di rinnovabili, combustibili fossili, sussidi ambientalmente dannosi. È diverso rispetto a quando decidi con firma congiunta e devi necessariamente negoziare. Non dico che decidi da solo, ma sei senz’altro l’alfiere delle decisioni”.
Cingolani ha sfruttato questa possibilità?
“L’ha sfruttata secondo la sua visione. Ha fatto una scelta politica, spingendo soprattutto verso il gas e non mettendo mai le rinnovabili al primo posto. Io l’avrei fatto, ma non era nelle mie competenze. Tra l’altro, oggi è possibile anche premere l’acceleratore sulle semplificazioni. Mentre il ministero dell’Ambiente poteva semplificare solo la gestione della Via e della Vas, il miTe poteva andare molto oltre e in alcuni casi l’ha fatto. Esempio ne sono le norme inserite nell’ultimo decreto Aiuti ter per il rigassificatore. Norme che ritengo non valide per come sono state scritte: si supera la Valutazione di impatto ambientale e si deroga la Valutazione di rischio di incidente rilevante. Capisco la necessità di far presto, ma bisogna fare anche bene. E questo è un rischio che, non dico politicamente, ma anche solo eticamente, non mi sarei preso”.
Roberto Cingolani resterà come consulente per l’Energia del governo. Una collaborazione non retribuita (“lo faccio con spirito costruttivo” ha detto) per continuare il suo lavoro sul price cap sul gas e sul rigassificatore di Piombino. Un segno di continuità per tranquillizzare l’Europa o un commissariamento e, quindi, una sfiducia nei confronti nuovo ministro?
“Sono argomenti molto tecnici e ritengo sia normale che, prima di entrare in certi meccanismi, un ministro impieghi dei tempi tecnici. Ora c’è bisogno di chiudere degli accordi e può essere utile la presenza di chi questi accordi li ha avviati”.
Non le fa effetto, dunque, che Pichetto Fratin prenda parte ai lavori del Consiglio dei ministri dell’Energia Ue, a Lussemburgo, insieme a Cingolani?
“Al Consiglio parla il ministro, ma ci sta che su dei temi che ha seguito Cingolani fino a ieri, l’ex ministro possa fare da supporto per evitare che si vada fuori pista. Il tema è un altro: è chiaro che si sta proseguendo sulla linea Cingolani. In questo modo si rischia di fare passi indietro su diversi fronti. Se si pensa solo all’energia, per quanto importante, dimenticando il resto, il rischio è di pagarne un prezzo alto perché il climate change ha un impatto su tutto. A iniziare dal mare, tanto per fare un esempio”.
Nel 2018 è stato lei a presentare la legge Salvamare (approvata in via definitiva a maggio 2022). Che ne pensa, ora, del ministero delle Politiche del mare e del Sud?
“Credo che questo spacchettamento del tema del mare, legato poi al Sud, lanci un messaggio controverso: ma perché, il mare al Nord non c’è? E la Liguria? Il Santuario dei Cetacei? E poi il mare è parte dell’ecosistema. Ricordo che collegavo la tutela del mare, le aree marine protette, il plastic free anche con la tutela del territorio ed era un tutt’uno. Ora mi viene da chiedermi su questi temi quanti galli del pollaio debbano parlare. Avrebbe avuto senso rinforzare la politica del mare all’interno del ministero dell’Ambiente, il motivo per cui da ministro – proprio in visione della Salvamare – ho istituito la Direzione generale del Mare”.
Ma non è l’unico problema che riguarda il mare. I porti sono considerati Infrastrutture, dunque sono di competenza del ministero di Matteo Salvini. C’è però il tema dei porti green.
“Che sono nel Pnrr. Mi domando come si legherà il tema dei porti green, con il sistema marino e con la tutela del resto del territorio. Prima erano tutte competenze del ministero dell’Ambiente e non era una scelta casuale”.
Anche la mobilità sostenibile è stata accorpata – come nel precedente esecutivo – al ministero delle Infrastrutture. A guida Matteo Salvini…
“Se vuole sapere cosa ne penso, basta ricordare la sua reazione quando feci inserire nella legge di Bilancio 2019 la norma sui sussidi ambientalmente dannosi, perché fossero gradualmente abbandonati nel giro di tre anni”.
Nonostante le sue proposte tuttora, in Italia, i Sad valgono oltre 34 miliardi di euro. Solo a gennaio 2022 il primo taglio, con il Dl sostegni ter, per un valore di poco più di cento milioni all’anno. Insomma, nessuna road map e passi molto lenti.
“Sono preoccupato e sono portato a pensare che sarà rallentato lo sviluppo della mobilità sostenibile, con le auto elettriche e le nuove frontiere dell’idrogeno verde, nonostante sia strategico per il contrasto ai cambiamenti climatici. Certo, le mie considerazioni sono basate su ciò che gli attuali ministri hanno fatto e dichiarato nel corso degli anni. Magari Salvini ha cambiato idea nel frattempo”.
Altra novità è il ministero dell’Agricoltura e della Sovranità alimentare.
“Faccio notare che manca la parola foreste. Non sono nella mission del nuovo ministero dell’Agricoltura i boschi, gli alberi e la superficie forestale che tanto incide positivamente nel contrasto ai cambiamenti climatici, al punto tale che nell’ambito del Green Deal europeo, l’Ue si è impegnata a piantare almeno 3 miliardi di nuovi alberi entro il 2030. Ricordiamo che la superficie italiana è coperta per il 36% da foreste”.
In questi giorni si è molto discusso del concetto di ‘Sovranità alimentare’, la cui origine è dovuta alla ong ‘Via Campesina’. Molto in sintesi: sì a biodiversità e agricoltura sostenibile, no a sfruttamento di territori e lavoratori, dominio delle multinazionali e allevamenti intensivi. In Italia ci sono 3,5 milioni di ettari inattivi, anche perché ci sono limiti imposti dalla legge per garantire rigenerazione e biodiversità. Secondo il neo ministro Francesco Lollobrigida bisogna rendere coltivabile un altro milione di ettari perché “non basta quello che ci mette a disposizione l’Europa” ed “è necessaria una riforma della Pac che si liberi dall’ideologia intrinseca del Farm to Fork”. Lei ha una laurea in Scienze agrarie: è questa la ‘sovranità alimentare’ da perseguire?
“Credo in questo momento di difficoltà sia legittimo discutere sull’opportunità o meno per l’Italia di coltivare questi ettari in più, ma dovremmo chiederci che tipo di agricoltura si vuole fare. L’Italia non può fare un’agricoltura estensiva, perché non abbiamo grandi superfici, come Polonia, Olanda, Spagna, Germania e perché abbiamo un bioclima particolare. Dobbiamo investire su agricoltura di qualità e non di quantità e così sostenere il reddito degli agricoltori. Non ha senso coltivare un milione di ettari in più per cereali che si producono in tutto il mondo, ne ha molto coltivare, ad esempio, mela annurca o limoni per produrre limoncello, perché il vantaggio per gli agricoltori è maggiore, oltre al fatto che ci si pone sul mercato internazionale con marchi di un livello diverso. Agricoltura di qualità, però, significa anche sostenibile, che rispetti la natura e che non sia aggressiva dal punto di vista dei pesticidi. Vorrei sapere cosa ne pensa Lollobrigida a riguardo.
Il suo nome è legato all’inchiesta sulla Terra dei Fuochi di Caserta. Sul tema dei rifiuti sono diversi i nodi da sciogliere, a iniziare da quello degli inceneritori. Come verranno affrontati?
“Lo hanno già detto. Non ho dimenticato, da campano, le parole pronunciate da Salvini qualche anno fa, quando chiedeva un inceneritore per ogni provincia della Campania. Ma credo che gli inceneritori disincentivino la raccolta differenziata, il riciclo e l’economia circolare, oltre al fatto che l’energia residua termovalorizza il rifiuto, ma del 3-4% rispetto a ciò che brucia. A livello nazionale parliamo dello 0,1%”.
Manca poco alla Cop 27 che si terrà a Sharm El Sheikh. L’Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano ha pubblicato la ‘Zero Carbon Policy Agenda’, sostenendo che l’Italia rischia di mancare il target di riduzione delle emissioni del 55% al 2030 per 110 milioni di tonnellate di CO2. In Egitto si tornerà a chiedere uno sforzo comune, ma il mondo intero ha visto che, di fronte alla difficoltà, anche l’Italia ha cambiato le priorità, trasformando la lotta ai combustibili fossili in una caccia combustibili fossili. Il Paese non rischia di mancare i target e perdere credibilità?
“Dobbiamo vedere come lavorerà il governo ma, sulla base di quello che i ministri hanno dichiarato quando erano all’opposizione, certo che rischiamo. Solo che il Fit for 55 dell’Ue non è negoziabile, se ne dovranno fare una ragione. Se non si rispettano i target, l’Italia avrà un ruolo sempre più marginale nei tavoli internazionali del contrasto al climate change, oltre al rischio di incorrere in un’infrazione. Credo che il nostro Paese, invece, dovrebbe essere un riferimento per gli altri, senza arroccarsi sulla difesa dei fatti propri, ma probabilmente questo governo non la pensa così”.