Da quando è passato professionista nel 2018, il peso massimo Guido Vianello ha già combattuto al Madison Square Garden di New York, allo Staples Center di Los Angeles e all’ Mgm Grand di Las Vegas. In tutto dieci incontri, nove vittorie e un pari. Ma il ragazzone di Roma, classe 1994, non ha mai fino ad oggi esordito in Italia, restando sempre in America, la patria della boxe. Ora però è giunto il momento di salire sul ring di casa. Venerdì 28 ottobre, al Pala Atlantico di Roma, The Gladiator sarà protagonista di una riunione organizzata da OPI Since 82 e Top Rank. Affronterà lo scozzese Jay McFarlane (13-6-0, 5 Ko) in un contest internazionale sulla lunghezza delle otto riprese. In cartellone anche altri ottimi pugili italiani come Natalizi, Russo, Sarchioto, Casamonica, Lolli e Stephanie Silva.
Come sta andando la preparazione?
Sono stato a Londra a fare sparring con pugili del calibro di Daniel Dubois, Johnny Fisher e Fabio Wardley. A Roma invece mi alleno con Vincenzo Fiaschetti e Mirko Carbotti che come tipologia di atleti sono più simili al mio avversario.
Come vive questo esordio romano?
Sono consapevole di cosa devo fare per vincere il match. Alle Olimpiadi così come per il mio esordio tra i pro al Madison Square Garden ho già vissuto emozioni forti. Sono felice che tanti amici mi possano vedere, dopo gli anni trascorsi in America.
Come sono stati gli anni americani?
Duri e fantastici allo stesso tempo. Lì non riesci a farti tanti amici, soprattutto a Las Vegas ci sono pochi italiani che risiedono. Ma gli Stati Uniti sono il luogo ideale per emergere in questo sport. È fondamentale per un pugile andare là per crescere e farsi la mentalità giusta.
Com’è la situazione odierna nella categoria regina?
Ovviamente il livello è altissimo. Io mi sono allenato anche con Tyson Fury, è quasi invincibile, il suo modo di boxare perfetto. Però io con lui non mi incontrerò mai, è alla fine della carriera ed io all’inizio.
Gli altri?
Ho fatto sparring con i migliori, ho un’idea completa della categoria. Dubois per esempio fa malissimo, ma alla seconda settimana avevo preso le contromisure.
Il suo futuro cosa prevede?
Dopo lo scozzese a Roma il programma prevede nel 2023 un combattimento in America con un pugile imbattuto e magari un titolo intercontinentale, match da dieci o dodici riprese. In due anni voglio arrivare ad un primo Mondiale, sarebbe il mio sogno portarlo in Italia, all’Olimpico di Roma. Potrei anche ritirarmi in quel momento.
Lei non viene da una famiglia pugilistica.
Tennis Vianello a Roma è il circolo di famiglia. Io ho giocato a tennis per otto anni, ma quando lo praticavo lo detestavo. Non lo sentivo come il mio sport. Per raggiungere i campi, passavo ogni giorno davanti alla palestra Team Boxe Roma XI di Franco Mattioli. Quell’insegna “Boxe” un giorno mi ha trascinato dentro alla palestra e da quel momento ho iniziato. Quei primi maestri mi hanno guidato nel migliore dei modi, dandomi un’impostazione perfetta.
Oggi chi è il suo allenatore?
Dopo Mattioli, ho avuto Simone D’Alessandri e quindi i migliori coach americani, ma ora sono tornato con Simone perché con lui c’è una connessione sia in palestra che all’angolo durante i match. Ora viaggio sempre con lui e il mio team è tutto italiano.
Com’è la situazione pugilistica in Italia?
Qui ci sono grandi professionisti, ma manca il movimento e il business.
Come sono stati gli anni del dilettantismo?
Ho cambiato troppi allenatori in Nazionale, avrei preferito una guida unica. Ero entrato nel gruppo sportivo dei Carabinieri, ma ho dato le dimissioni per firmare un contratto di sette anni con la Top Rank, di cui me ne rimangono ancora tre.
Non si è pentito dunque di aver lasciato il tennis per la boxe?
Il pugilato non è uno sport che raccomando a tutti, perché è durissimo. Però è quello che io ho dentro.