In Italia gli immigrati lavorano in condizioni peggiori, sono più sovraistruiti e sottoccupati, ma contribuiscono in misura rilevante all’economia del Paese, con un saldo positivo di 1,3 miliardi di euro per le casse dello Stato. Ma restano largamente esclusi da molte prestazioni sociali, pur avendo un tasso di povertà quattro volte superiore a quello degli italiani. Tra i primi Paesi di origine di chi è arrivato nel corso del 2021 ci sono quelli più colpiti da siccità e alluvioni. D’altro canto, numero di migranti ambientali nel mondo è in continua crescita: secondo la Banca Mondiale diventeranno 220 milioni nel 2050. La guerra in Ucraina non ha fatto che aggravare la situazione. Nonostante la nuova normativa e novità importanti sperimentate per la prima volta in Italia, nell’accoglienza qualcosa è andato storto. Racconta anche questo aspetto la nuova edizione del Dossier Statistico Immigrazione, realizzata dal Centro Studi e Ricerche Idos in collaborazione con il Centro Studi Confronti e l’Istituto di Studi Politici ’S. Pio V”.
Un saldo a favore delle casse dello Stato – In Italia, gli stranieri incidono più tra i lavoratori (sono il 10%, oltre 2,2 milioni di occupati su un totale nazionale di oltre 22,5 milioni nel 2021) che tra la popolazione nel suo complesso (8,8%, cinque milioni su 59). Ma quasi il 64% svolge professioni non qualificate o operaie e la quota di sovraistruiti è del 32,8%. Eppure pagano le tasse, consumano e versano contributi: nel 2020 hanno pagato 5,3 miliardi di euro di Irpef, 4,3 miliardi di Iva, 1,4 miliardi di Tasi e Tari, 2,2 miliardi di accise su benzina e tabacchi, 145 milioni di euro per le pratiche di acquisizione di cittadinanza e di rilascio o rinnovo dei permessi di soggiorno e 15,6 miliardi per i contributi previdenziali. Ne deriva che il saldo netto tra uscite economiche (28,9 miliardi) ed entrate (30,2 miliardi) legate all’immigrazione è di circa 1,3 miliardi di euro a vantaggio delle casse dello Stato. “Dall’altra parte – spiega il rapporto – gli stranieri in Italia continuano sempre più a fare impresa”, oltre al fatto che “svolgono un’ampia gamma di lavori imprescindibili”. Rappresentano oltre il 15% degli occupati nel settore degli alberghi e della ristorazione, il 15,5% in quello edile, il 18% in agricoltura e più del 64% nei servizi alle famiglie, dove quasi i due terzi degli addetti sono stranieri. Settori che, in assenza di manodopera straniera, entrerebbero in profonda crisi.
Produttori di ricchezza, ma sempre più poveri – “Sebbene contribuiscano in maniera irrinunciabile al benessere collettivo, ne restano sempre più esclusi” sottolinea Idos. Nel 2021 gli stranieri in condizione di povertà assoluta sono saliti, in Italia, a oltre un milione e 600mila (100mila in più rispetto al 2020), il 32,4% di tutti quelli residenti in Italia, una quota oltre 4 volte superiore a quella degli italiani (7,2%). Eppure gli immigrati accedono molto meno alle prestazioni di assistenza sociale (mense, trasporti, case popolari, misure di sostegno al reddito ecc.), da cui vengono esclusi attraverso l’introduzione di requisiti illegittimi e arbitrari, da parte di Comuni e istituzioni, come il possesso di un permesso di lungo-soggiorno e una residenza anagrafica almeno decennale. “Vincoli – sottolinea il report – che hanno limitato al 12% la quota di stranieri tra i beneficiari del Reddito di cittadinanza”.
L’immigrazione sempre più climatica – Se si guarda ai flussi migratori verso l’Italia, emerge un altro aspetto: le nazionalità dichiarate dai migranti sono riconducibili ai Paesi che maggiormente stanno soffrendo la pressione del cambiamento climatico. Nel 2021 tra i primi Paesi di origine ci sono Tunisia, Egitto, Bangladesh, Afghanistan, Siria, Costa d’Avorio, Eritrea, Guinea, Pakistan e Iran. Paesi dipendenti dal grano russo e ucraino e aree del mondo allo stremo per la siccità intervallata da alluvioni, l’innalzamento delle temperature medie e le conseguenti carestie. D’altronde, se alla fine del 2021 il mondo contava quasi 90 milioni di migranti forzati, in aumento dell’8% rispetto all’anno precedente e arrivati alla soglia dei 100 milioni dopo l’invasione russa dell’Ucraina, a questo numero va aggiunto quello dei migranti forzati per cause climatiche, il cui numero resta per lo più non dichiarato. “In Italia e in Europa – sottolinea il report – ai migranti climatici in quanto tali non viene riconosciuto lo status di rifugiato”. Eppure, secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre (Idmc), negli ultimi 15 anni i disastri naturali sono stati la causa principale della maggior parte degli sfollamenti interni. Solo nel 2021 sono stati registrati 23,7 milioni di nuovi sfollati per cause ambientali, contro i 14,3 milioni prodotti dai conflitti. Tra i Paesi più colpiti Cina, Filippine e India. Secondo la Banca mondiale, entro il 2050 i migranti ambientali potrebbero arrivare a 220 milioni di persone.
I conflitti e il loro impatto ecologico – A far crescere il numero degli sfollati, anche i conflitti disseminati in tutto il mondo “che non provocano solo morti, sfollati e distruzione di intere città, ma generano un forte impatto ecologico”. Ne è un esempio il conflitto in Ucraina che – racconta il rapporto Idos – ha innescato anche un’altra guerra, molto subdola, quella del grano e dei cereali”. Una guerra che, a sua volta, rischia di peggiorare la già precaria sicurezza alimentare in diversi Paesi del mondo. Russia e Ucraina, secondo i dati della Fao, producono il 12% di tutte le calorie alimentari importate ed esportate a livello globale, controllando il 29% dell’export totale di grano. La dipendenza dal grano proveniente dai due Paesi, insieme alla crisi climatica in corso – in particolare per quanto riguarda Medio Oriente, Africa settentrionale e subsahariana – minaccia di aumentare la spinta migratoria dalla sponda Sud del Mediterraneo. Tutto questo, mentre ad accogliere l’esodo di milioni di sfollati sono, principalmente, Paesi con risorse precarie e a loro volta fragili anche da un punto di vista ambientale. Nel 2021, l’83% dei rifugiati è stato accolto in Paesi a reddito basso o medio. “Ingiustizia climatica e ingiustizia sociale si saldano – commenta il presidente di Idos, Luca di Sciullo – e la migrazione diventa l’unica strategia di adattamento per chi non ha altra alternativa che fuggire dalla povertà in tutte le sue forme”.
Cosa è andato storto nell’accoglienza agli Ucraini – Ma l’accoglienza degli ucraini insegna che non sempre le buone intenzioni si trasformano in aiuto concreto. A marzo 2022, l’Italia ha introdotto novità significative. Ai profughi dall’Ucraina è stato riconosciuto fin da subito il diritto di scegliere la città (o il Paese europeo) in cui fermarsi, la Protezione civile ha emanato ad aprile un bando per l’assegnazione di circa 15mila posti, tra accoglienza domestica propriamente detta e appartamenti attivati dagli Enti del terzo settore mediante accordi con i Comuni. Gli sfollati ucraini, inoltre, sono stati autorizzati a cercare sistemazioni autonome, ricevendo direttamente un contributo monetario. Le previsioni del governo erano di accogliere circa 100mila persone e, all’inizio di settembre, erano quasi 154mila. Ma di questi profughi giunti in Italia, il sistema istituzionale ne ha accolto meno del 20% tra alberghi, la rete già esistenze di accoglienza Sai/Cas e il bando della Protezione civile. Questo perché se circa 8 su 10 hanno ricevuto una qualche assistenza pubblica (al netto delle oltre 8mila collocazioni in strutture alberghiere che le nuove previsioni avrebbero voluto evitare), nel 90% dei casi si è trattato di un contributo modesto, limitato nel tempo (300 euro al mese per gli adulti e 150 per i minori, per non più di 90 giorni) ed erogato tardivamente. “Non ha funzionato l’attuazione dell’‘accoglienza diffusa’ introdotta dalle nuove disposizioni a causa di lentezze e rigidità burocratiche nell’avvio dei progetti” spiega Idos, secondo cui “aver puntato sullo slancio solidaristico della popolazione (e degli ucraini già in Italia) ha garantito una risposta alla larga maggioranza dei profughi, per lo più presso privati invece che in strutture collettive”.