Per opporsi al provvedimento è nato un comitato composto da giuristi, professori universitari e professionisti del settore: "Si delegittima un istituto previsto dalle convenzioni internazionali". Per far passare il testo è stata applicata in Aula la tagliola che ha eliminato centinaia di emendamenti delle opposizioni
Contro il parere di associazioni, giuristi e operatori socio-assistenziali, il Consiglio regionale del Piemonte ha approvato con i soli voti della maggioranza di centrodestra la legge cosiddetta “Allontanamento zero”, che detta un nuovo protocollo in tema di allontanamento dei minori dal nucleo familiare e per questo minaccia di avere importanti ripercussioni sugli affidi di bambini e adolescenti. L’approvazione è arrivata dopo un iter lungo tre anni, grazie a una settimana di sedute fiume e la “tagliola” del presidente leghista del Consiglio regionale Stefano Allasia, che ha contingentato i tempi bypassando centinaia di emendamenti delle opposizioni. In Aula hanno esultato l’assessora all’Infanzia del Carroccio Chiara Caucino, firmataria della proposta, e tutta la giunta Cirio, con il governatore forzista in prima fila. “Una giornata memorabile”, ha dichiarato l’esponente della Lega.
La proposta di legge regionale è nata dopo il caso Bibbiano e secondo l’assessora Caucino servirà ad abbattere “dell’80%” gli allontanamenti dei minori dal nucleo familiare d’origine. Una percentuale che però non è ritenuta né possibile né veritiera dagli esperti. La norma è stata infatti osteggiata da un fronte compatto di operatori del settore, giuristi, enti locali e semplici cittadini che nei mesi scorsi hanno costituito un comitato e protestato con striscioni e megafoni davanti a Palazzo Lascaris. Ma cosa prevede il testo? Al primo posto c’è la riforma del Pef, il Progetto educativo familiare: dovrà essere concordato e sottoscritto dalla famiglia di origine, dovrà durare almeno 6 mesi e verrà esteso a tutti i casi di “vulnerabilità familiare”. L’allontanamento, dove necessario, potrà essere proposto solo dopo questo iter. Inoltre l’articolo 6 stabilisce che gli interventi economici e abitativi a sostegno del nucleo familiare “hanno carattere prioritario e vincolante rispetto” all’allontanamento.
“In questa legge c’è molto di ideologico e pochissimo di concreto”, dichiara il consigliere del Partito democratico Daniele Valle. Anche le opposizioni si sono compattate nel segno del no al provvedimento. “Alla base c’è un assunto falso, mai dimostrato, e cioè che la gran parte dei bambini viene allontanata per ragioni economiche, mentre di solito si tratta di una concausa. Prendiamo per esempio una tossicodipendenza: ovviamente si porta dietro la povertà, ma nessuno sosterrebbe mai che l’allontanamento è stato deciso perché la famiglia è indigente”, commenta. Ora il fronte dei contrari si aspetta un intervento del governo e della magistratura. “Attendiamo con interesse un’impugnativa del governo e il vaglio di costituzionalità, perché riteniamo che la Giunta sia andata oltre le sue competenze”, dichiara la collega Monica Canalis.
“Si vuole dare all’affido un connotato politico, ma l’affido non è né di destra, né di sinistra”, commenta Frida Tonizzo, presidente dell’Associazione nazionale delle famiglie affidatarie (Anfaa). “Da un lato questa legge fa prevalere il diritto degli adulti, anziché quello dei minori. Dall’altro fa passare le famiglie affidatarie come dei ladri di bambini, mentre l’istituto nasce proprio a tutela dei minori e non come intervento punitivo nei confronti della famiglia d’origine”.
In questi anni associazioni e comitati hanno prodotto ricerche e dati a supporto del no. Ne risulta che già oggi il 50% degli affidi sono già a parenti e che il 98% dei minori in difficoltà viene assistito all’interno della famiglia. “Il caso Bibbiano non può essere un pretesto per mettere sotto accusa l’intero sistema dei servizi sociali”, dichiara Tonizzo. Secondo la Giunta, la stretta sugli affidi porterà anche a un risparmio per le casse pubbliche. Per l’assessora Caucino la sforbiciata farebbe risparmiare 20 milioni l’anno. Ad azzoppare la norma, però, potrebbe essere la “clausola di invarianza finanziaria”: non saranno stanziate risorse aggiuntive, ma una quota fissa del portafoglio destinato ai servizi sociali dovrà essere impiegato per contrastare gli allontanamenti. Il rischio concreto è che non ci sarà denaro sufficiente per garantire gli interventi d’urgenza e gli interventi in esecuzione di provvedimenti dei giudici, fa notare Joëlle Long, docente di Diritto di famiglia e minorile all’Università di Torino. “Così si delegittima un istituto che è previsto dalle convenzioni internazionali e dalla legge stessa. È certamente un arretramento rispetto al sistema in vigore”, commenta.