In questi giorni le strade di Roma sono tappezzate da volantini e sticker con su una frase: “Adidas ruba“. E per sabato pomeriggio, 29 ottobre, alcune attiviste e attivisti hanno organizzato una protesta contro il celebre marchio di abbigliamento che si terrà nel centro della Capitale. L’iniziativa fa parte della campagna internazionale Pay Your Workers e della campagna nazionale Abiti puliti, e si inserisce in una settimana di mobilitazioni, fino al 30 ottobre, per chiedere ad Adidas di rispettare i diritti di lavoratrici e lavoratori lungo tutta la sua catena di fornitura, assicurando il pagamento degli stipendi regolari e garanzie in caso di licenziamento. La campagna chiede inoltre all’azienda di contribuire a un fondo di garanzia per proteggere operaie e operai della filiera tessile in caso di fallimento della fabbrica o di licenziamenti di massa e di tutelare il loro diritto a organizzarsi in sindacati e a contrattare collettivamente. Le mobilitazioni contro Adidas sono partite quando, nel marzo 2020, le operaie della fabbrica tessile Hulu Garment, in Cambogia – che non sapevano né leggere né scrivere – sono state convinte a firmare con l’impronta del pollice un documento su cui c’era scritto che accettavano di essere licenziate. Secondo un’indagine sindacale, lavoratrici e lavoratori tessili in otto fabbriche della Cambogia che hanno prodotto indumenti per Adidas sono stati privati di circa 11,7 milioni di dollari di salari maturati nei primi 14 mesi della pandemia.

Pay Your Workers unisce sindacati e organizzazioni da tutto il mondo proprio per chiedere sostegni immediati a lavoratori e lavoratrici tessili e una riforma profonda del settore: è nata a ridosso della pandemia da Covid-19, per denunciare l’ulteriore peggioramento delle condizioni lavorative all’interno del settore tessile. Se già lavoratori e lavoratrici erano sottopagati, infatti, la pandemia ha segnato un prima e un dopo: ribassi salariali o mancati pagamenti, ritmi di lavoro insostenibili, licenziamenti a tappeto sono stati all’ordine del giorno. Molte fabbriche inoltre sono state chiuse, privando di lavoro e di qualsiasi tutela e liquidazione – secondo una ricerca del Center for global workers’ rights della Penn State University – oltre 35 milioni di persone nel mondo, cioè circa il 10% di chi lavora nel tessile. Il Covid, quindi, ha reso evidente una situazione di drammatico sfruttamento che è strutturale e radicata da anni, e che coinvolge soprattutto lavoratrici povere del Sud globale, del Centro America e dell’Europa dell’Est, dove è dislocata la produzione. E anche Roma si unisce alla mobilitazione globale per rivendicare diritti, tutele e salari dignitosi per il settore tessile e un ripensamento ecosostenibile della produzione di abbigliamento, a oggi largamente fondata sullo sfruttamento di soggetti femminilizzati e razzializzati.

Abiti Puliti è una delle 14 coalizioni nazionali della Clean Clothes Campaign, fondata nei Paesi Bassi nel 1989 come Schone Kleren Campagne, e adesso rete di 235 organizzazioni che operano in oltre 45 Paesi. La coalizione italiana è coordinata da Fair e composta da Altraqualità, Centro Nuovo Modello di Sviluppo, Fondazione Finanza Etica, Guardavanti Onlus, Movimento Consumatori, OEW e Hoferlab. Si occupa principalmente di fast fashion, denunciandone insostenibilità economica ed ecologica e diffuso sfruttamento lavorativo, tanto in termini di diritto quanto salariali.

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