La classe dirigente di Fratelli d’Italia affonda le sue radici politiche nell’esperienza del neofascismo italiano e del Movimento sociale, dal quale riprende il simbolo e i richiami al ventennio fascista.
L’attuale ministro dell’Agricoltura e della sovranità alimentare, Francesco Lollobrigida, inaugurò nel 2012, nel piccolo comune di Affile, in provincia di Roma, il mausoleo “Patria e onore” per celebrare il generale fascista Rodolfo Graziani, l’uomo che – autorizzato da Mussolini – ha usato i gas chimici contro gli etiopi sterminandone a migliaia e compiendo altri massacri ingiustificati in Libia e a Debra Libanòs in Etiopia dove, nel 1937, vennero uccisi oltre 1.000 cristiani della Chiesa copta, “colpevoli” di appoggiare gli etiopi. Il mausoleo – per inciso – è stato pagato con fondi pubblici stanziati dalla Regione Lazio.
Non è che uno dei tanti casi che si potrebbero citare di aperta riabilitazione di quel passato.
Le stesse designazioni alla presidenza delle due Camere, fortemente identitarie e divisive, sono il suggello di ordine e tradizionalismo cattolico, una composizione che, in un’altra epoca, si sarebbe definita clerico-fascista.
Come si può riversare questo portato culturale nelle politiche di governo degli anni Venti? La nuova coalizione ha inviato i suoi primi segnali nella ridefinizione dei nomi dei ministeri: oltre alla menzionata “sovranità alimentare”, il ministero delle Pari Opportunità e della Famiglia ha visto aggiungersi anche la dizione “natalità”; al ministero dello Sviluppo economico si è unito il riferimento al “made in Italy” mentre al ministero dell’Istruzione è ora associato il termine “merito”. Sono evocazioni autarchiche di sedimento nazionalista, ma l’area delle definizioni è il primo tassello per la costruzione di politiche fortemente identitarie. La priorità dell’obiettivo è finalizzata a imporre un’egemonia delle parole, anche se queste possono apparire ora scatole vuote.
Il “merito” nella scuola è un concetto importante, ma viene dopo l’inclusione sociale e la creazione di comuni opportunità.
Un tasso di natalità di due figli a coppia è indispensabile al funzionamento dello Stato sociale nel tempo, ma la scelta di procreare deve passare garantendo stipendi decorosi e stabilità d’impiego alle madri e ai padri. I bonus bebè, rilanciati dal 2014, si sono rivelati sterili palliativi.
Alla destra italiana dei nostri giorni, più che Benito Mussolini, può insegnare Viktor Orban, in ottimi rapporti con Giorgia Meloni e orgoglioso portatore della democrazia illiberale. Il leader ungherese – riformista liberale pentito – non potendo instaurare apertamente un governo autoritario è ricorso a una serie di leggi che hanno ristretto diritti e spazi democratici, modificando la Costituzione per 7 volte dal 2011 al 2018.
I primi tasselli dell’esperienza del governo Orban, a partire dal 2010, sono stati costruiti sul potere definitorio delle parole e sulla retorica contrapposizione tra noi e gli altri, identificati – questi ultimi – in coloro che minano la compattezza nazionale. Cento anni fa, il fascismo italiano respingeva ogni possibilità di dibattito tra il noi fascista (la nazione) e tutti gli altri (l’antinazione).
La costruzione del sistema ideologico di Orban si basa su tre elementi:
1) l’orgoglio nazionalista, con l’attacco al comunismo come distruttore della nazione;
2) l’uso strumentale della religione, ridotta a una forma di identità politica;
3) la polemica contro le élite lontane dal popolo: gli intellettuali dissenzienti, i giornalisti “disubbidienti”, i magistrati che assumono decisioni senza essere stati eletti la cui indipendenza è stata ridotta.
Anche Orban ha avviato, senza successo, politiche di rilancio della natalità, mostrando idee discriminatorie nei confronti delle donne giudicate troppo laureate e poco materne. Per di più, in Ungheria, è stata ristretta a quattro casi la possibilità di abortire: violenza sessuale, pericolo di vita per la donna, riscontro di handicap grave dell’embrione, impossibilità di mantenimento. Prima di abortire le donne devono subire l’ulteriore trauma di ascoltare il battito fetale.
In Italia il forzista Maurizio Gasparri ha già provato a minare la legge 194 sull’aborto proponendo di modificare la capacità giuridica dell’individuo non più al momento della nascita ma a quello del concepimento.
Giorgia Meloni ha affermato di non volere modificare la legge 194, ma di volere tutelare il diritto di non abortire che, peraltro, già esiste. Tra le altre misure evocate in campagna elettorale, a garanzia di chi è sottoposto a un interrogatorio di polizia (si perdoni la battuta), la destra italiana ha proposto l’abolizione del reato di tortura.
Queste sono priorità di regime, sperando che la presidente Giorgia Meloni si concentri sulle priorità di governo.