Il primo numero uscì a Firenze nel dicembre 1932, ma le prime settimane del magazine italiano non furono semplici tra battaglie per i diritti d'autore e altri colpi di scena
Nato nel gennaio del 1928 dalla fantasia di Walt Disney e Ub Iwerks, Mickey Mouse giunse in Italia solo alla fine di marzo 1930 col nome di Topolino. I primi a “incontrarlo” furono i lettori della torinese Gazzetta del Popolo, il quotidiano nel cui supplemento illustrato fu pubblicata la prima striscia disegnata da Iwerks e intitolata Le avventure di Topolino nella giungla. Quello fu l’esordio di Topolino in Italia, ma occorsero altri due anni prima che il topo di carta più famoso al mondo ottenesse una testata tutta per sé dove pubblicare le proprie avventure e quelle della “famiglia Disney” che sarebbe cresciuta in maniera esponenziale.
Contrariamente a quel che si può immaginare, l’esordio da “solista” di Topolino non fu per niente semplice. Il primo numero è datato 31 dicembre 1932, fu stampato a Firenze da Attilio Vallecchi con la direzione di Collodi Nipote (ovvero Paolo Lorenzini, figlio del fratello del babbo di Pinocchio), il cui nome comparve sulla testata. Il giornale settimanale uscì in otto pagine al prezzo di 20 centesimi; la testata aveva la caratteristica scritta rossa su fondo bianco; al centro vi era Topolino nell’atto di presentarsi con un cappello a cilindro nella mano sinistra. Tra l’altro la novità editoriale italiana anticipò di circa un mese la comparsa del Mickey Mouse Magazine negli Stati Uniti.
In seconda pagina vi era l’editoriale di apertura, firmato dallo stesso Topolino, e il ringraziamento al “Consorzio Cinematografico Edizioni Artistiche Internazionali di Roma” che aveva concesso l’autorizzazione a riprodurre nella testata la figura tipica di Topolino, frutto del genio di Walt Disney.
All’inizio Topolino non era ancora un fumetto: nella prima pagina del primo numero, infatti, vi era una storia dell’amatissimo roditore in sei quadri, privo dei tipici balloons (cioè fumetti), ma con didascalie (di quattro versi ciascuna, in rima alternata) e senza la firma del disegnatore, che poi sarebbe stata attribuita a Gaetano Vitelli o a Giove Toppi. Topolino in versione settimanale uscì così per due numeri poi subì una trasformazione: la tipica figura del topo disneyano mutò radicalmente così come cambiò il nome della testata (divenne Il giornale di Topo Lino). Altri due numeri così, poi finalmente alla fine di gennaio 1933 tutto tornò a posto: riapparì l’immagine del topo che tutti conosciamo e la testata tornò a essere semplicemente Topolino.
Che cosa era accaduto di preciso a cavallo della prima e seconda quindicina di quel gennaio 1933? A spiegarlo in maniera chiara è Roberto Maini, curatore dei Fumetti Nerbini della Marucelliana, prima mostra di fumetti in una biblioteca storica del ministero dei Beni culturali, nonché già direttore della stessa e profondo conoscitore dell’universo fumettistico italiano e internazionale. “Se il direttore Paolo Lorenzini (Collodi Nipote) prometteva nel primo numero al suo lettore di fargli passare qualche lieto momento, in casa editrice le acque erano molto agitate – racconta Maini – Giuseppe Nerbini e suo figlio Mario pensano di essere in regola con la Disney dal punto di vista dei diritti d’autore, tant’è che in seconda pagina sempre del primo numero ringraziano la direzione amministrativa del ‘Consorzio Cinematografico Edizioni Artistiche Internazionali di Roma’, che ha l’esclusiva per l’Italia delle graziose films’ Topolino di Walt Disneys [sic!]’, per la ‘graziosa autorizzazione’ a riprodurre nella testata il personaggio disneyano”. Ma non è così, sul copyright non è tutto in regola. “Arriva l’editore torinese Carlo Frassinelli – prosegue Maini – che intima la sospensione immediata delle pubblicazioni, minacciando di richiedere il sequestro del settimanale. Per facilitare le trattative, Nerbini già nel terzo numero (14 gennaio 1933) cambia il titolo in Il giornale di Topo Lino e scompare nella testata il classico Topolino disneyano per essere sostituito da quello del Topo Lino del duo Giove Toppi e Gaetano Vitelli: indossa lunghi calzoni, un normale paio di scarpe con tacco, una cartella scolastica a tracolla”. Ulteriore colpo di scena: “Frassinelli non è il concessionario per l’Italia delle edizioni Disney: ha acquistato solo i diritti per due libri di Topolino usciti poi nel 1933 e forse tradotti da Cesare Pavese“. La storia, tuttavia, continua: “In quello stesso gennaio – racconta ancora Roberto Maini – arriva una lettera che accusa i Nerbini di pirateria. È di Guglielmo Emanuel, già giornalista del Corriere della Sera, antifascista, che si era dimesso nel 1925 dopo l’allontanamento del direttore Albertini. È lui che svolge in quel momento la funzione di agente editoriale per il King Features Syndicate, titolare dei diritti dei più importanti fumetti americani, tra cui Disney. Giovanni e Mario Nerbini vanno a Roma, incontrano Guglielmo Emanuel e la controversia viene rapidamente risolta con l’acquisto del diritto esclusivo di pubblicazione sottoscritto il 19 gennaio 1933 e con il numero 5 (28 gennaio 1933) riappare l’iniziale testata con il personaggio disneyano”.
La situazione rimase questa per oltre due anni, perché dall’agosto del 1935 la testata di Topolino iniziò a essere pubblicata da Mondadori, che la mantenne fino al 1988 quando le subentrò Disney Italia. Quest’ultima la ebbe in scuderia fino all’ottobre del 2013, quando fu ceduta alla Panini Comics.