Un rinnovo nel silenzio, senza una reale e convinta opposizione in Parlamento, al di là degli appelli (inascoltati) di ong e associazioni e l’impegno di (pochi) singoli deputati e senatori. Sul dossier del contestato Memorandum Italia-Libia il tempo sta per scadere: se entro il 2 novembre il nuovo esecutivo a guida Giorgia Meloni non dovesse prendere iniziative o chiedere che venga ridiscusso, per la seconda volta l’accordo si rinnoverà automaticamente il 2 febbraio 2023 per altri tre anni.
Non è una novità. Da anni le richieste per stoppare i rapporti con la cosiddetta ‘Guardia costiera libica‘ (in realtà gestita e infiltrata da milizie e trafficanti), nella cornice contestata del Memorandum con Tripoli – siglato dal governo Gentiloni, con Marco Minniti al Viminale – , di fatto restano inascoltate dal Parlamento, con finanziamenti sempre rinnovati in Aula con il Decreto missioni per fornire assistenza tecnica, supporto logistico e soprattutto addestramento (da fine 2020 portato avanti dalla Turchia). E presunte richieste di modifica al patto tra Roma e Tripoli annunciate in Aula, ma mai ottenute, dall’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio, passando per l’ex titolare del Viminale, Luciana Lamorgese. Tutto mentre con le motovedette donate dall’Italia alla Libia si continuano a intercettare e fermare i migranti, poi riportati nei centri di detenzione, veri e propri lager, tra abusi e violazioni dei diritti umani più volte accertate da Onu e organismi internazionali. Dal 2017 a oggi sono state oltre 85mila le persone intercettate in mare, come più volte denunciato da Asgi, Amnesty e tante realtà associative.
Eppure, dopo il primo rinnovo del 2020, le misure sottoscritte nel 2017 saranno di nuovo estese. Con buona pace delle associazioni che chiedono ancora oggi lo stralcio. Perché del dossier libico il nuovo esecutivo Meloni non sembra preoccuparsi, né intende andare in discontinuità rispetto ai governi che lo hanno preceduto, considerata anche la posizione dei partiti della maggioranza di centrodestra su Libia e migranti, che gli interessi economici in gioco. E sul fronte delle opposizioni? Dal Pd, eccetto la posizione di singoli parlamentari – come Matteo Orfini – che da anni chiedono che quel patto venga cancellato e sospesi del tutto i rapporti con la ‘Guardia costiera’ libica, resta il silenzio o quasi. Nessun intervento del segretario (seppur uscente) Enrico Letta, né in Aula dopo le dichiarazioni programmatiche del governo, né alla Direzione del partito. Nulla. Eppure la scadenza sul rinnovo resta imminente.
“Silenzio da parte nostra? Noi abbiamo chiesto che il governo venga a riferire sullo stato di attuazione del memorandum e sulle intenzioni sul rinnovo. Pensiamo che sia sbagliato procedere in modo tacito, anche perché le parti libiche non hanno mai risposto sulle nostre richieste di modifica”, si limita a replicare al Fattoquotidiano.it Lia Quartapelle, deputata e responsabile esteri del partito. Eppure, sono anni che quelle richieste di modifica sono lasciate nel vuoto, così come da anni le organizzazioni internazionali raccontano di abusi, violenze e violazioni dei diritti umani. Non sembra bastare però affinché il Pd e i suoi vertici chiedano lo stralcio. Forse anche perché equivarrebbe a dover ammettere il fallimento della strategia Minniti, mai realmente archiviata: “Fare mea culpa? Penso che sia da verificare l’attuazione di quel memorandum, ma che il principio fosse giusto e resti valido: i flussi vanno governati in modo sicuro e legale, collaborando con le autorità dei Paesi di provenienza e transito”, taglia corto Quartapelle. Tradotto, niente scuse. Anzi, per il Pd torna il mantra della richiesta di modifiche: “Sono tre anni che le chiediamo. Mai ottenuto nulla? Bisognerebbe chiederlo all’ex presidente Giuseppe Conte”, si difende.
Si dissocia invece Gianni Cuperlo: “Quel memorandum aveva limiti evidenti quando fu stipulato, poi diventati clamorosi errori nel corso del tempo. La Libia non è un porto sicuro e noi rimandiamo in veri e propri lager persone che hanno alle spalle soprusi e violenze. Il minimo sarebbe che nel Pd ci fosse una seria discussione e che prendessimo una linea chiara. Pochi giorni alla scadenza? Non è mai troppo tardi”, spera il deputato dem. Orfini invece va oltre: “Mea culpa? Dovremmo farlo da anni. Altro che richiesta di modifiche, mai ottenute, noi dovremmo chiedere lo stralcio”, avverte. E ancora: “Se abbiamo ancora credibilità per parlare di questi temi? Solo in pochi parlamentari (di Pd, +Europa e Sinistra italiana e pochi altri, ndr) negli anni hanno battagliato su questi temi in Aula. E al Nazareno i segretari dem Nicola Zingaretti ed Enrico Letta non hanno mai dato seguito all’indirizzo scelto dall’Assemblea nazionale del partito che chiedeva di rompere i legami con Tripoli. Iscritti ed elettori, al contrario dei vertici, non hanno mai avuto dubbi”, ha concluso Orfini.
“Se intendono ricominciare a fare la politica più becera sulla pelle delle persone più fragili bloccandoli in mare troveranno l’opposizione nelle piazze e anche in Parlamento”, aveva avvertito in piazza pochi giorni fa la neo deputata dem Elly Schlein riferendosi al governo Meloni e sottolineando che il memorandum non andava rinnovato. Il suo nome viene ancora evocato per la nuova segreteria. In attesa dei tempi lunghi del Congresso, però, sulla Libia tra i vertici Pd resta il silenzio o quasi.