“Solo a Doha Roma può essere (ri)costruita in un giorno”. Scherza ma non troppo il critico d’arte Massimiliano Gioni mentre alle sue spalle si staglia un’enorme veduta dell’iconica scalinata di Piazza di Spagna. Siamo in Qatar, più precisamente nel nuovissimo museo M7, polo del design e dell’innovazione situato nel quartiere Msheireb Downtown della capitale: è qui che giovedì 27 ottobre è stata inaugurata la mostra Forever Valentino, un’esibizione senza precedenti, la più grande mai organizzata nella storia della casa di moda romana nonché la prima in Medio Oriente, aperta fino al 1 aprile 2023. Non una retrospettiva, ma piuttosto una prospettiva. Un racconto di come il passato rivive nel presente ed è la chiave per guardare al futuro. Al centro, il dialogo – reale e metaforico insieme – che Pierpaolo Piccioli, il direttore creativo unico di Maison Valentino dal 2016, ha tenuto in questi anni con il fondatore della casa di moda, Valentino Garavani. Cinquantatré anni di storia (dal 1959, anno della sua fondazione, ad oggi) dell’universo Valentino dispiegati in modo superbo in 10 sale che sono esse stesse il frutto di un’altra conversazione, quella appassionata tra i due curatori, Massimiliano Gioni, direttore del New Museum di New York, e Alexander Fury, critico di moda, con Piccioli. Insieme hanno tirato le fila del percorso che ha portato il marchio ad essere ciò che è oggi, ovvero non solo un emblema di eccellenza sartoriale nel mondo ma soprattutto un unicum tra le case di moda europee in quanto a continuità tra fondatore ed eredi. È proprio questo passaggio di testimone, avvenuto senza soluzione di continuità tra Piccioli e Garavani, il cuore di “Forever Valentino”, racchiuso nel titolo stesso della mostra. Questo la rende molto più un semplice tributo all’”ultimo imperatore della moda” nell’anno del suo 90esimo compleanno, una vera ode al piccolo grande miracolo di questo brand che – sempre sotto l’occhio vigile di Giancarlo Giammetti, socio e compagno di vita di monsieur Valentino – è capace di cogliere e incarnare puntualmente lo spirito dei tempi, declinandolo grazie alla sua immensa tradizione artigianale ancora oggi al centro del lavoro nell’atelier romano di Piazza Mignanelli.
Ed è proprio lì che si viene trasportarti quando il pannello con la veduta di Piazza di Spagna si apre e si varca la soglia d’ingresso alla mostra, nel luogo dove ha inizio la magia, dove l’idea incontra il saper fare. La riproduzione in scala 1:1 della scultura di Mitoraj che troneggia nel cortile d’ingresso del quartier generale della Maison è circondata da 35 abiti dell’iconico rosso Valentino, il colore che ha sancito lo stile del couturier sin dalla sua prima collezione. È molto difficile – e lo sarà anche in tutte le altre sale – per un occhio non esperto riconoscere quali capi siano stati creati da Garavani e quali invece da Piccioli. Perché senza nostalgia ma, al contrario, con metodo, Pierpaolo ha raccolto tutti i canoni fondamentali dell’estetica di Valentino e li ha introiettati, per poi rielaborarli proiettando il brand nella contemporaneità. Un metodo che è il senso ultimo del suo lavoro, oltre che di questa esibizione: “Il mio desiderio era dare rilevanza al ruolo che il passato ha nel presente e nel significare ciò che è oggi Valentino”, ci spiega il direttore creativo guidandoci alla scoperta delle stanze. “Qui non c’è nostalgia, non c’è imitazione né tantomeno mitizzazione di quel che è stato. C’è invece la mia consapevolezza di voler mantenere il Dna del brand al di là dell’apparenza, trasmettendolo attraverso la continuità di valori”, ci spiega Piccioli. “In questo senso i miei abiti sono la mia lingua, lo strumento attraverso cui esprimo i miei pensieri e prendo posizione verso ciò in cui credo”. Per questo non ha voluto didascalie a dispiegare i pezzi in mostra: allo spettatore la sfida di riconoscerli con l’aiuto di un’app che funge da guida.
Ecco quindi che le successive due stanze ci conducono proprio alla scoperta dell’atelier, vera fucina creativa dove il direttore creativo lavora insieme alle sue sarte, alcune delle quali collaborarono già con Garavani. Dal rosso si passa così al bianco candido, caldo, avvolgente, matrice di tutti i colori ma anche necessità pratica x individuare anche il minimo spillo. A spezzare il monocromo della sala numero 2 ci sono le due versioni dell’abito “Fiesta”: l’originale, del 1959, e la reinterpretazione che Piccioli ha fatto nella sua ultima collezione di Alta Moda The Beginning, quella presentata lo scorso luglio proprio nel cuore di Roma. La Città Eterna è per il designer “il luogo al quale tutti appartiamo e dove tutto ha inizio” e per questo non poteva prescindere dal fare da sfondo all’esibizione. Gioni e Fury hanno ideato così una scenografia fortemente immersiva che ricrea le suggestioni di Roma a Doha, dove risiede il fondo Mayhoola for Investments proprietario del marchio e dove è in corso Qatar Creates, appuntamento culturale a sostegno dei talenti emergenti voluto dalla sceicca AL Mayassa Bint Hamad Al Thani, figlia della sceicca Moza, tra le più grandi collezioniste di abiti Valentino (molti di quelli esposti provengono, tra l’altro, proprio dal suo guardaroba, ndr). “Doha si trova oggi all’incrocio tra Oriente ed Occidente, proprio come Roma nell’antichità”, sottolinea Gioni. “Per questo non abbiamo voluto ricreare uno sfondo didascalico ma, piuttosto, rappresentare un paesaggio mentale, quell’insieme di bellezza, fragilità, complessità e commistioni che si riflette poi nelle creazioni di Pierpaolo”, spiega il curatore. “Roma è sempre stata identitaria di Valentino, fonte costante di ispirazione e specchio di quello splendore senza tempo che ritroviamo in questi abiti”, aggiunge Alexander Fury. La cosiddetta sala del “Capriccio” ne è l’emblema: qui troviamo da una parte una rievocazione del Colosseo, dall’altra del gasometro di Pasolini, giustapposti secondo l’antica tecnica pittorica del ‘600 per ricreare un’immagine ideale e rappresentativa. “È la bellezza senza sforzo della Roma imperiale che si fonde con le mille contraddizioni del neorealismo pasoliniano – ci dice Piccioli -. La chiave sta nell’equilibrio che si crea nella tensione tra questi opposti che convivono tra loro. In quello spazio sta l’umanità, la vita, il lavoro del nostro atelier. I nostri sono abiti fatti da persone per altre persone”.
Così, stanza dopo stanza, si attraversa un climax di emozioni: in questo spazio sospeso sono racchiuse sei decadi di abiti. Da quello verde giada indossato da Jackie Kennedy alla visita di Stato in Cambogia a quello da lei scelto personalmente per il suo matrimonio con Onassis; e ancora, c’è il vaporoso vestito di piume rosa sfoggiato da Lady Gaga, quello tempestato di paillette rosse e nere di Sophia Loren, un pigiama palazzo arancio di Grace Kelly e il vestito giallo di Zendaya, diva dei nostri tempi. Alcuni sono adagiati sui manichini ma molti sbucano assai più stupendamente dai cassetti a dagli armadi di un guardaroba metaforico e metafisico costruito tramite il processo di archeologia del fashion condotto dal trio Gioni-Fury-Piccioli. La centralità del capo qui è tale che sono i pezzi di moda a definire gli spazi. Come l’enorme montacarico con due look della Pink PP collection. “Con Alexander abbiamo voluto ricreare e trasmettere allo spettatore lo stesso senso di meraviglia che abbiamo provato noi quando per la prima volta siamo entrati negli archivi di Valentino”, chiosa Gioni. E nel momento in cui, infine, si giunge alla grande scalinata costellata da variopinti capolavori di sartoria degli ultimi cinquant’anni non si può non pensare alla vita che li ha attraversati, ai ricordi di cui si sono intrisi, all’animo e agli interessi di chi li ha indossati, alle storie, alle passioni e, forse, anche ai dolori che hanno condiviso con i loro proprietari. L’ammirazione devota che proviamo al loro cospetto è la stessa che ha provato anni fa anche Pierpaolo Piccioli, all’epoca giovane studente di moda, quando assisteva alle imponenti sfilate della rassegna d’alta moda romana Donna sotto le Stelle. E fissava il suo sguardo sui capi di Valentino imprimendoli per sempre nella sua memoria, prima di riprendere il treno e tornare nella sua Nettuno.