Politica

Giuseppe Mangialavori, l’aspirante sottosegretario indicato da Fi che Meloni non vuole: il suo nome è citato in due indagini di ‘ndrangheta

Il caso del deputato calabrese blocca la partita dei posti di sottogoverno: la sua nomina alle Infrastrutture sarebbe un risarcimento per la regione (che non esprime neanche un ministro) e per l'ala ronzulliana. Ma il pentito Bartolomeo Arena, nelle carte di Rinascita Scott, dice ai pm che la cosca degli Anello si serviva di un uomo a lui vicino "per veicolare messaggi". E nelle carte dell'operazione "Imponimento" si parla del sostegno dei clan alla sua candidatura

“Saremmo all’anno zero della politica dovesse esserci un problema, addirittura un veto o un “no”, nei confronti dell’onorevole Giuseppe Mangialavori, che non è stato né condannato, né imputato, né indagato, né raggiunto da alcun avviso di garanzia”. A Radio 24 il vicepresidente della Camera in quota Forza Italia, Giorgio Mulé, dice di non volerci credere. Ma è proprio sul suo collega deputato che si sta bloccando la partita dei posti di sottogoverno, i viceministri e i sottosegretari che dovrebbero essere nominati nel Consiglio dei ministri di lunedì alle 12. Mangialavori, medico senologo e coordinatore calabrese di Fi, è il nome indicato dal partito per diventare sottosegretario al ministero delle Infrastrutture guidato da Matteo Salvini. Una poltrona che sarebbe un risarcimento per l’ala che fa capo a Licia Ronzulli (delusa nelle speranze di diventare ministra) e soprattutto per la Calabria, l’unica regione del Sud che non ha avuto nemmeno un dicastero (e dove Forza Italia ha raggiunto il 16%, il doppio della quota nazionale). La nomina però sta incontrando le resistenze di Giorgia Meloni, perché dalle carte di alcuni procedimenti giudiziari calabresi emerge una vicinanza del parlamentare (mai indagato) a un clan ‘ndranghetista. Un tema, quello della mafia, su cui la neo-premier non vuole mostrare cedimenti, dopo aver annunciato come primo provvedimento un decreto per “salvare” l’ergastolo ostativo ai boss in carcere.

A imbarazzare Mangialavori sono in particolare le dichiarazioni del pentito di ‘ndrangheta Bartolomeo Arena, rese alla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro durante l’indagine Rinascita Scott. Fornendo agli inquirenti informazioni sulla cosca Anello di Filadelfia (un piccolo comune del vibonese) il collaboratore di giustizia riferisce tra l’altro: “Gli Anello per veicolare messaggi su Vibo si servono spesso di Michele Barba, il soggetto che è legato con il politico Mangialavori di cui ho già parlato in altri verbali”. E infatti non è l’unica volta che il nome del papabile sottosegretario compare agli atti delle indagini antimafia. Nell’operazione “Imponimento”, nel capo di imputazione contestato a Giovanni Anello (ex assessore del Comune di Polia), all’imprenditore Daniele Prestanicola e all’ex consigliere comunale di Vibo Valentia Francescantonio Tedesco (tutti e tre arrestati), c’è anche l’accusa per i tre di aver “contribuito a formare la strategia del sodalizio criminale (clan Anello) in ambito politico, come quando promuovevano il sostegno della cosca alle elezioni politiche nazionali del 2018 per il dott. Mangialavori Giuseppe, poi eletto al Senato della Repubblica”. Nelle carte, gli inquirenti coordinati dal procuratore Nicola Gratteri annotavano infine che dal 2018, l’anno delle politiche in cui Mangialavori è stato eletto al Senato”, la figlia di Tommaso Anello (considerato il boss al vertice del clan, ndr) è stata dipendente della Salus Mangialavori Srl (laboratorio di analisi cliniche) con sede in via Don Bosco a Vibo Valentia”.

Non si fatica, quindi, a capire le ragioni del poco entusiasmo della neo-premier nei confronti dell’indicazione. Uno scetticismo che secondo i retroscena è condiviso anche dall’ala “liberal” di Forza Italia, quella che fa capo al coordinatore Antonio Tajani, che non a caso tace. Mentre tutti i colonnelli “fedeli alla linea” del partito si schierano in difesa di Mangialavori. “È uno straordinario professionista, un medico, un senologo che è alla seconda legislatura e non è mai stato sfiorato da sospetti. Se ci si fermasse davanti a una chiacchiera di un pentito senza alcun seguito giudiziario vorrebbe dire che siamo messi davvero male. Non voglio credere né che ci sia un veto su Mangialavori, né che eventualmente non rientri fra i sottosegretari”, attacca Mulè. Il capogruppo alla Camera Alessandro Cattaneo esprime solidarietà “al collega onorevole Giuseppe Mangialavori, raggiunto in queste ore da un fango mediatico che non fa bene a lui, alla sua famiglia e alla coalizione. Siamo chiamati alla prova dei fatti: l’onorevole Mangialavori deve, per capacità, esperienza e lavoro svolto far parte di questo esecutivo“, avverte. E il governatore calabrese Roberto Occhiuto giura: “Non permetteremo che la macchina del fango, messa ancora una volta in moto a orologeria, nei giorni caldi delle decisioni legate alle ultime caselle dell’esecutivo, possa sporcare l’immagine della nostra regione e la carriera politica senza macchia di Giuseppe Mangialavori”.

Dalla soluzione del rebus-Mangialavori, peraltro, dipenderà un effetto domino che coinvolge altre caselle da sottosegretario. La sua esclusione dalla squadra, infatti, dovrebbe necessariamente portare anche all’esclusione di indagati, imputati e condannati: a farne le spese sarebbe un uomo vicino a Tajani, l’ex capogruppo alla Camera Paolo Barelli, probabile vice-ministro dell’Interno ma condannato dalla Corte dei Conti a risarcire mezzo milione di euro per i doppi rimborsi dei lavori alla piscina del Foro italico, quando era presidente della Federazione italiana nuoto. Ma anche un altro aspirante sottosegretario, Ugo Cappellacci, ex governatore sardo a processo per corruzione e peculato. Se invece il deputato calabrese avrà la poltrona, la Lega potrebbe aspirare a un posto per Armando Siri, l’ex sottosegretario e ideologo della flat tax non rieletto il 25 settembre: è a processo per corruzione per la presunta tangente incassata da un imprenditore dell’eolico.