Un legame che si estende nella storia, che non si limita esclusivamente alla dimensione economica ma che è fatto anche di importanti scambi politici e culturali. Nel nuovo libro di Alessandra Colarizi (L'Asino d'oro, 14 euro) la sinologa analizza la congiunzione tra due mondi così distanti ma allo stesso modo legati in maniera quasi indissolubile. Un intreccio che con il conflitto ucraino si è rafforzato ulteriormente, con lʼAfrica e in generale il Sud globale che hanno acquisito un'importanza anche maggiore nell’agenda estera di Pechino. Ilfattoquotidiano.it ne pubblica un estratto
La studiosa americana Margaret C. Lee lo ha chiamato «new scramble for Africa», è la nuova spartizione del territorio africano che vede le ex potenze imperialiste sgomitare con quelle emergenti – in primis la Cina – per conservare spazi di influenza nel continente del futuro: giovane, ricco di materie prime, con il tasso di natalità più alto al mondo e una collocazione geografica senza eguali sullo scacchiere internazionale. Passaggio obbligato per i commerci marittimi tra Asia ed Europa, è nelle mire di molti paesi. Nel nuovo millennio, il «magnifique gâteau africain» di Leopoldo II del Belgio si presenta così: ferrovie cinesi accanto a cavalcavia brasiliani, utility a gestione filippina e terminal aeroportuali turchi. Succede in Ghana, ma in realtà è così un po’ in tutto il continente.
Tra il 2010 e il 2016, in Africa sono state aperte ben 320 ambasciate. Solo la Turchia – che si definisce un «paese afro-eurasiatico» – ne ha inaugurate 26. L’India ha in programma di aprirne altre 20 entro la fine del 2025. Dal 2019 a oggi, summit africani si sono tenuti in Francia, Gran Bretagna, Russia e Turchia.
Agli interessi economici si aggiungono considerazioni legate alla sicurezza. La guerra al terrorismo, sferrata dopo l’attacco alle Torri Gemelle, nelle ultime due decadi ha riacceso i riflettori sul continente: stabilizzare l’Africa, dove vive il 27% della popolazione musulmana mondiale, vuol dire stabilizzare interessi economici ad ampio raggio.
L’integrazione del Corno d’Africa nelle dinamiche indo-pacifiche e mediorientali ha creato un nuovo spazio geostrategico, caratterizzato da una crescente presenza di scarponi militari in territorio africano nonché dalla penetrazione di nuovi attori esterni.
È la fine decisiva di quell’ordine africano introdotto simbolicamente nel giugno 1990 con il celebre discorso rivolto da François Mitterrand ai capi di Stato africani: democrazia e buon governo, chiarì il presidente, avrebbero costituito le sole chiavi di accesso agli aiuti francesi e, più in generale, occidentali. Sappiamo che non è stato così. Come spiega nell’articolo Le potenze ‘tradizionali’ in Africa, tra passato e presente Maria Stella Rognoni, docente di Storia dell’Africa presso l’Università degli Studi di Firenze, le crisi in Somalia, Sierra Leone e poi Ruanda
“ridimensionarono la portata del cambiamento, mostrando come, dietro la nuova impalcatura retorica, l’atteggiamento delle potenze tradizionali e degli Stati Uniti non sia in realtà cambiato rispetto agli anni della guerra fredda e come l’afflato etico si possa presto accantonare pur di salvaguardare gli interessi di sempre, economici e strategici“.
L’arrivo di nuovi interlocutori con modelli economici e sistemi politici autoritari ha messo completamente in discussione i rapporti di forza, ridimensionando il potere negoziale delle vecchie potenze imperialiste. La Russia, erede dell’esperienza sovietica, è tornata a esercitare una presenza importante soprattutto dopo i fatti della Crimea. E l’invasione russa dell’Ucraina, nel febbraio 2022, sembra aver accelerato questo trend. Giappone e India hanno cercato di estendere una loro visione: Nuova Delhi giocando sul comune passato coloniale, Tokyo puntando sull’esperienza nei progetti infrastrutturali. La Corea del Sud, con il suo know-how tecnologico, vede un’opportunità nella digitalizzazione del continente, mentre Emirati Arabi Uniti e Turchia si fanno strada con imponenti basi militari in Libia e Somalia. Secondo un rapporto della World Bank, l’India dal 2005 è la prima destinazione delle esportazioni in Asia di Nigeria, Tanzania e Ghana. Il Pakistan lo è per il Kenya.
E poi naturalmente c’è la Cina, che nei cinque anni precedenti al COVID-19 ha investito in Africa il doppio rispetto a Stati Uniti e Francia, il paese – insieme alla Gran Bretagna – ad aver ottenuto la fetta più consistente nella spartizione africana. Lo scacchiere si affolla e le dinamiche del gioco cambiano.