“E’ finito l’odio”, grida una ragazza che tra sorrisi e lacrime intona cori per salutare l’elezione di Luiz Inacio ‘Lula’ da Silva, davanti al comitato elettorale dell’ex sindacalista a San Paolo. “E’ il momento di riconciliarci come nazione”, dice un giovane militante del Partito dei lavoratori (Pt) che copre la maglietta rossa con i colori verde-oro della bandiera. Parole del popolo che coincidono con quelle del leader. “È necessario ricostruire l’anima di questo Paese. Recuperare la generosità, la solidarietà, il rispetto delle differenze e l’amore per gli altri. E potete stare sicuri che l’amore nel nostro governo non mancherà”, afferma Lula nel suo primo commento da presidente eletto. Retorica che nasconde la preoccupazione del confronto parlamentare e politico radicale, intransigente e ostruzionista che non conoscerà probabilmente sconti nel terzo governo Lula, di ritorno al palazzo del Planalto dopo due storici mandati negli anni 2000 seguiti dai foschi anni dell’antipetismo, delle inchieste per corruzione e del carcere. Vicende giudiziarie che, amaro, Lula definisce “tentativo di interrarmi vivo”.

La vittoria con meno dell’1 per cento dei voti, pari a poco più di 2 milioni di voti, e l’enorme numero di preferenze raccolte dal presidente sconfitto Jair Bolsonaro, oltre 58 milioni, danno la misura di un paese spaccato in due e lasciano bene intendere che prima di economia, sanità, politiche sociali e istruzione il Brasile dovrà cercare la pace. “A nessuno interessa vivere in una famiglia in cui regna la discordia. È tempo di riunire le famiglie, ricostruire i legami di amicizia spezzati dalla diffusione criminale dell’odio. A nessuno interessa vivere in uno stato di guerra permanente. Questo Paese ha bisogno di pace. È tempo di deporre le armi che non avrebbero mai dovuto essere impugnate” afferma Lula, che tuttavia non fa sconti al rivale. “In questa campagna elettorale non abbiamo affrontato un avversario, ma la macchina dello stato brasiliano a servizio del candidato per evitare che vincessimo le elezioni, ma sono ancora qua”.

“Il brasile è la mia causa, il popolo è la mia causa, e combattere le fame è la ragione per cui io combatterò fino alla fine della mia vita”, afferma Lula delineando la lotta alla povertà ancora una volta come priorità del suo governo. Insieme alla tutela dell’ambiente e del recupero di credibilità e ruolo di primo piano per il Brasile, dopo esser stato declassato a paria internazionale. “Stiamo per riguadagnare credibilità, prevedibilità e stabilità del Paese, in modo che gli investitori possano riacquistare fiducia nel Brasile e smettano di vedere il nostro Paese come fonte di guadagno immediato e predatorio, e diventino nostri partner nella ripresa della crescita economica con inclusione sociale e sostenibilità ambientale”, afferma Lula.

Il presidente eletto rivendica parità di trattamento. “Vogliamo un commercio internazionale più equo. Riprendere le nostre partnership con gli Stati Uniti e l’Unione Europea su nuove basi. Non ci interessano accordi commerciali che condannino il nostro Paese all’eterno ruolo di esportatore di merci e materie prime”. Una posizione nazionalista che sembra non preoccupare i principali leader del mondo che a pochissimi minuti dall’ufficializzazione dei risultati hanno inviato a Lula auguri e al Brasile l’importante riconoscimento dell’efficienza del sistema elettorale. Presidenti, capi di governo e rappresentanti diplomatici di Stati Uniti, Unione europea, Cina, Canada, Francia, Germania, Spagna, Portogallo, Regno Unito, oltre che di Paesi della regione come Messico, Ecuador, Bolivia, Uruguay, Perù, Haiti e Panama, hanno già inviato messaggi di saluto.

Anche in patria il garbo istituzionale sembra prevalere. Il presidente della Camera brasiliana e stretto alleato di Bolsonaro, Arthur Lira, oltre che numerosi governatori eletti hanno voluto riconoscere l’elezione di Lula ed evidenziare la necessità di dialogo e di abbandono delle armi politiche e ideologiche che vedono il paese combattere da anni al suo interno. Bolsonaro ha raccolto la maggioranza in 14 stati, contro 13 di Lula. E, nonostante Lula abbia ottenuto il maggior numero di voti della storia repubblicana recente, oltre 60 milioni, in 14 stati il neo-eletto presidente dovrà confrontarsi con governatori espressione politica del proprio avversario delle presidenziali. Non è a caso che già nel corso del suo discorso di insediamento abbia inviato i governatori a collaborare per il bene del Paese. Il leader del Pt è già al lavoro anche per includere altri partiti nella sua base parlamentare, come Partito socialista democratico (Psd) e Unione Brasile. La definizione della nuova legge di bilancio potrebbe essere il primo banco di prova del dialogo.

Non è arrivato, e non arriverà almeno fino a domani il riconoscimento della sconfitta da parte di Bolsonaro. Dopo anni di denunce di rischi di brogli mai documentati, dopo aver squalificato le istituzioni del proprio paese contro le quali è entrato in aperto conflitto con toni bellicosi più di una volta, il capo dello Stato potrebbe essere costretto a riconoscere la sconfitta senza nemmeno presentare un ricorso. Per il momento del passaggio della fascia presidenziale, il 1 gennaio, avrà modo di prepararsi nel corso dei due mesi di transizione che lo attendono.

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