Sonny Colbrelli lascia il ciclismo a 32 anni. A nemmeno un anno dalla conquista della Parigi–Roubaix, una vittoria che lo ha proiettato nell’Olimpo delle due ruote, ha scelto di ritirarsi. La decisione è arrivata dopo l’arresto cardiorespiratorio che il 21 marzo scorso, durante il Giro di Catalogna, ha colpito l’atleta di Desenzano del Garda. La vita è troppo preziosa per metterla ancora a rischio e per questo Colbrelli scenderà dalla sella. Resterà nel mondo delle due ruote con il Bahrain Victorious, sarà ambasciatore per i partner del team e lavorerà a stretto contatto con il gruppo delle prestazioni, condividendo la sua esperienza con i compagni di squadra.
Attraverso un lungo comunicato del team Bahrain Victorius, annuncia la sua scelta, affermando senza troppi giri di parole che con il defibrillatore che gli è stato impiantato non può continuare a gareggiare. Troppo pericoloso. E facendo un chiaro riferimento al centrocampista danese Christian Eriksen, che con il defibrillatore ha ripreso la sua carriera professionale, smonta ogni paragone con il calcio. “Il ciclismo non è calcio. È uno sport diverso, guidi per le strade. Non si gioca su un campo da calcio, dove, in caso di necessità, gli interventi dell’équipe medica possono essere tempestivi. Le loro attività di allenamento si svolgono in un’area circoscritta, mentre nel caso di un ciclista ti ritrovi spesso solo per ore su strade poco trafficate”, ha sottolineato il campione azzurro, senza nascondere di aver avuto la tentazione di rimuovere il generatore di impulsi. “Ammetto di averlo considerato. Ma prima di tutto rimuovere il defibrillatore è contro la pratica medica e significa rimuovere un salvavita necessario come prevenzione secondaria. Un rischio troppo alto che non posso permettermi di correre. Per me, per l’opportunità che la vita mi ha dato”.
È meglio non mettersi in competizione con il destino: “Sono grato a una vita che ho rischiato di perdere e che mi ha dato una seconda possibilità“, dice, precisando che la speranza di continuare, seppur minima, l’ha cullata per tanti mesi. Sapeva che la via del ritorno “sarebbe stata difficile con un defibrillatore”, anche per il fatto che in Italia gareggiare in queste condizioni non è consentito dalla legge. “Ma non mi sono arreso comunque – precisa -, ho ripreso a pedalare sotto stretto controllo medico e ho subito diverse visite e consulenze con specialisti del settore”. Poi, ha dovuto accettare la sua situazione: “Dico addio al ciclismo e provo a farlo con il sorriso per il bene che mi ha dato, anche se farlo dopo una stagione come l’anno scorso fa male. È stata la cosa migliore della mia carriera. Ho imparato cosa offre la vita”.