Come è noto, “torturando” i numeri è possibile ottenere qualsiasi confessione. E’ quello che sembra aver fatto il centro studi di Unimpresa, confederazione che dichiara di rappresentare 100mila pmi di vari settori, per arrivare alla conclusione che alzare il tetto all’uso del contante non alimenta l’evasione fiscale. Senza curarsi di provare la relazione causa-effetto, l’analisi che si è guadagnata ampio spazio sui giornali vicini alla destra mette a confronto il livello di quella soglia – più volte modificato nell’ultimo decennio – con l’andamento del tax gap, cioè la distanza tra il gettito atteso e quello effettivo, che misura l’evaso. Risultato? “La soglia più alta del tetto, pari a 5.000 euro, fissata per il 2010, coincide con il livello più basso di evasione fiscale mai registrata nello scorso decennio, pari a 83 miliardi di euro“. Il problema è che quel numero, utilizzato per avallare la bontà dell‘intenzione del governo Meloni di rialzare il tetto, è sbagliato.
Già a prima vista, del resto, appare molto curioso che nel 2010 l’evasione sia stata così “bassa” rispetto agli anni successivi, quando si è sempre attestata oltre i 104 miliardi per poi calare a 102 nel 2018 e 99 nel 2009. E infatti gli 83 miliardi citati, a differenza degli altri dati inseriti nel grafico di Unimpresa, non sono la stima complessiva di tutte le tasse e i contributi non versati nel corso dell’anno. Bensì una cifra parziale che – a differenza delle altre – non comprende né le accise sui prodotti energetici né le imposte immobiliari né i contributi. Per scoprirlo basta scorrere le Relazioni sull’economia osservata e l’evasione fiscale e contributiva scritte ogni a partire dal 2016 da una commissione di esperti indipendenti. Sono tutte sul sito del Mef, tranne l’ultima che il governo Draghi ha deciso di non pubblicare per motivi che il Tesoro non ha mai ritenuto di dover chiarire.
Le stime di evasione dal 2014 al 2019 riportate nel grafico vengono dalla Relazione 2021. Quelle su 2012 e 2013 dalla Relazione 2016, la prima. Ma nessuno di questi rapporti contiene una valutazione “solida” sul 2010: per quell’anno, molto precedente rispetto a questi esercizi di quantificazione del fenomeno, non erano disponibili diversi dati. L’ufficio studi di Unimpresa ha allora preso una cifra parziale contenuta nella relazione 2017: la somma tra gap Irpef, Ires, Iva, Irap, canone Rai e imposta sulle locazioni. Il totale fa 83 miliardi, appunto, ma come detto mancano una serie di voci che invece per gli anni successivi vengono stimate. E sono voci e pesanti: tasse sugli immobili, accise sull’energia e contributi non versati valgono mediamente oltre 17 miliardi l’anno (oltre 18 nel 2017). A prova contraria: “depurando” le annualità successive dei dati non disponibili per il 2010, il valore evaso nel 2011 cala a 90 miliardi, quello del 2012 a 87, eccetera.
Ricapitolando: Unimpresa, di cui è segretario generale l’ex commissario straordinario per il coordinamento delle iniziative antiracket del governo Prodi (poi senatore del Pdl, poi convertito al Pd) Raffaele Lauro, per “provare” che un tetto più alto non alimenta l’evasione ha scelto scientemente di associare all’anno in cui il tetto era a 5mila euro un livello di evasione del tutto parziale. Per poi chiosare che “nel 2011 il tetto al contante è stato abbassato a 2.000 euro e l’evasione fiscale è salita a 104,8 miliardi di euro, con un incremento di oltre 21 miliardi rispetto all’anno precedente (+26%): quindi, cala il tetto al contante e sale l’evasione”.
Più interessante sarebbe stato, eventualmente, andare a guardare come si è mossa la componente che ha più probabilità di essere influenzata dalle modifiche al tetto, cioè il tax gap relativo all’Irpef dei lavoratori autonomi e piccoli imprenditori. Quelli che stando all’ultima relazione hanno una propensione a evadere del 69% (dato in aumento nell’anno in cui invece il gap Iva si è ridotto in modo ragguardevole). Ecco: che cosa è successo nel 2016, quando il governo Renzi ha triplicato il valore massimo dei pagamenti in contanti a 3mila euro determinando secondo la Banca d’Italia un aumento di 0,5 punti della quota della cosiddetta “economia non osservata”? L’Irpef non versata è salita da 32,1 a 33,3 miliardi. In ogni caso, al netto dell’evidenza che elevare il limite non ha motivazioni economiche oggettive, tutti gli esperti di antiriciclaggio concordano sul fatto che il suo principale effetto è facilitare il reimpiego dei proventi di reati. Tra cui l’evasione.