Uno stadio ostaggio di una banda di tifosi, se così si possono chiamare. Una partita condizionata dalla morte di un pregiudicato. Spettatori che avevano regolarmente pagato il biglietto e volevano solo vedere la gara della loro squadra, costretti secondo le testimonianze a cambiare di posto (se ci riuscivano, pure questo sarebbe illegale) o proprio ad andarsene. In due parole, la resa dello sport alla violenza: la curva Nord vuota di San Siro è l’inchino al boss durante le processioni di paese, sono i fuochi d’artificio per celebrare le ricorrenze dei malavitosi.

Sabato sera, quando gli spalti si sono improvvisamente svuotati durante il primo tempo di Inter-Sampdoria e poi si è venuto a sapere che era il segno di lutto della curva per la morte di Vittorio Boiocchi, storico esponente della tifoseria organizzata nerazzurra – alle spalle 10 condanne definitive per furto, sequestro di persona e traffico di stupefacenti – è stata come una rivelazione. Abbiamo scoperto che sono passati gli anni e cambiate tante cose, ma alla fine le curve sono ancora una proprietà privata degli ultras. E questo nel 2022, con la tecnologia, telecamere ovunque, steward e normative varie che si sono susseguite nel corso del tempo, francamente non è più accettabile. Così davvero si dà ragione a chi vorrebbe gli stadi come teatri. A chi ad esempio vorrebbe costruire un nuovo San Siro piccolo ed esclusivo, un gioiellino di lusso riservato ai più ricchi. E noi non siamo nemmeno fra questi.

C’è chi ne ha fatto un manifesto programmatico. Nel Regno Unito, ad esempio, l’eradicazione degli hooligan ha coinciso con l’ammodernamento degli impianti e la trasformazione sociale della tifoseria (dalla working alla middle, se non proprio upper class di oggi). Un fenomeno che in Italia è stato più volte indicato come modello, e per certi versi anche applicato (allo Juventus Stadium, ad esempio, dove vuoi per le inchieste giudiziarie del recente passato e l’innalzamento dei prezzi, lo spazio e l’influenza dei gruppi organizzati si è progressivamente ridotta). Ma se vogliamo che il calcio resti uno spettacolo popolare e non un prodotto di lusso, lo stadio dovrebbe essere aperto a tutti. Anche agli ultras, e quindi anche a quella fascia di società che a volte può essere tangente alla criminalità. Il punto non è tanto chi sono o da dove vengono, ma cosa fanno e come si comportano.

Un omaggio in luogo pubblico a un pregiudicato ammazzato in un agguato già di per sé non è il massimo come messaggio, ma se gli ultras nerazzurri ritenevano che lasciare gli spalti fosse il modo di ricordare una persona a loro comunque cara, erano liberi di farlo. Ma nei gruppi organizzati sono centinaia, in Curva Nord ce ne vanno svariate migliaia e quello che è inaccettabile è anche tutti gli altri tifosi, compresi donne e bambini, siano stato costretti a lasciare il loro posto con le buone o con le cattive. Come se la curva fosse “cosa loro”, tipica mentalità mafiosa per l’appunto. Tra l’altro, a quanto risulta dalle prime ricostruzioni, pare che accortisi dell’accaduto, steward e agenti di polizia si siano schierati in massa per impedire alle vittime di spostarsi in altri settori (giusto, è questione di ordine pubblico), ma non per ripristinare la legalità. E qui si ritorna al punto centrale. Per quanto successo a San Siro, devono pagare i colpevoli, certamente, ma anche chi l’ha permesso non vigilando. Gli stadi non vanno “ripuliti”. Basterebbe controllarli.

Twitter: @lVendemiale

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