“Sull’ergastolo ostativo il Parlamento ha lavorato la scorsa legislatura, la Camera ha approvato una norma all’unanimità…“. Nella conferenza stampa dopo il primo Consiglio dei ministri “operativo” del suo governo, Giorgia Meloni butta lì una frase che passa inosservata. Ma è falsa: il disegno di legge che superava l’attuale normativa sulla concessione dei benefici penitenziari ai condannati per mafia (per evitare che la Corte costituzionale la dichiarasse illegittima tout court) non è stato votato da tutti i partiti. A Montecitorio, il 31 marzo scorso, il testo unificato con relatore Mario Perantoni (M5s) passò con 285 voti a favore, un contrario e 47 astenuti: tra questi ultimi c’erano tutti i deputati di Fratelli d’Italia (allora all’opposizione del governo Draghi). Eppure è lo stesso ddl che ora il governo della neo-premier ha trasformato in un decreto legge urgente. “Abbiamo magistrati e forze dell’ordine che vedono vanificato il loro lavoro per fronteggiare la criminalità e che oggi ricevono un messaggio per cui un mafioso può uscire se si dichiara pentito“, aveva detto in dichiarazione di voto Andrea Delmastro Delle Vedove, appena nominato sottosegretario alla Giustizia: ma quel messaggio lo aveva dato un anno prima la Corte costituzionale, obbligando il Parlamento a modificare la norma. “Noi crediamo che la normativa speciale antimafia abbia ancora oggi un valore. Per Fratelli d’Italia e la destra dal carcere esci se non sei più mafioso, se invece rimani mafioso e non collabori in carcere ci rimani e ci muori”, aggiungeva. Ma senza una nuova legge a dettare dei paletti le uscite sarebbero state ancora più frequenti. E ora lo ha capito anche FdI (pur senza ammetterlo).