La storia della Coppa del Mondo è fatta di soldi e potere, senza lasciare spazio ai diritti umani. Lo sa bene Freek de Jonge, che guidò la campagna contro Argentina '78 e ha provato a fermare anche il Mondiale più controverso della storia, quello che sta per cominciare
IL LATO OSCURO DEI MONDIALI – PUNTATA 1 – Rimet sognava un torneo che avrebbe “unito le nazioni, avvicinando i popoli e rendendo il mondo un solo grande paese”. Non è andata proprio così. Da Francia 1938 a Qatar 2022, la Coppa del Mondo è anche una storia di guerre, omicidi, imbrogli e regimi dittatoriali. Puntata dopo puntata, vi raccontiamo le storie emblematiche degli intrecci tra calcio e potere
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Autore, cabarettista e scrittore, Freek de Jonge sembra un personaggio uscito da un’opera di Samuel Beckett. Su di lui calza bene una delle citazioni più note del drammaturgo irlandese: “Ho provato, ho fallito. Non discutere. Fallisci ancora. Fallisci meglio”. Il fallimento di De Jonge, oggi 78enne, riguarda le sue campagne di boicottaggio dei Mondiali, iniziative destinate all’insuccesso già in partenza ma che, secondo il diretto interessato, “qualcuno doveva pur prendersi la briga di fare”. De Jonge è stato l’unico in Europa a organizzare un boicottaggio per Argentina 1978, e 43 anni dopo aveva deciso di provarci nuovamente per Qatar 2022. In quest’ultimo caso si è ritrovato in buona compagnia, visti gli articoli, le pubblicazioni e le discussioni su quello che può essere definito il Mondiale più controverso della storia. Soprattutto perché, rispetto all’Argentina, la mole di informazioni e le possibilità di approfondimento sono infinitamente maggiori.
Qualsiasi sostenitore di campagne per il boicottaggio di Qatar 2022 non poteva non dirsi consapevole di essere destinato alla sconfitta. Nulla avrebbe potuto fermare un evento di portata planetaria che muove miliardi di euro. Il punto è un altro: “Parlare di boicottaggio significa creare una dibattito”, dice De Jonge, “e quanto meno spingere le persone a chiedersi: è giusto organizzare un torneo sportivo così grande in un paese con una legislazione che non corrisponde agli standard di ciò che noi consideriamo civile?”. Ci sono state discussioni non solo in Olanda, ma anche in molti altri paesi, dall’Inghilterra (da dove è iniziato il tutto grazie ai reportage del Guardian sui morti sul lavoro nei cantieri degli stadi) alla Norvegia, dalla Germania alla Danimarca. Un dibattito rimasto assente in Italia, dove le discussioni legate a Qatar 2022 hanno riguardato solo l’eventuale ripescaggio degli Azzurri al Mondiale, e questo la dice lungo sulla cultura sportiva e meritocratica che vige nel nostro paese.
Nel 1978 De Jonge scrisse uno spettacolo teatrale dal titolo Bloed aan de Paal (Sangue sul palo) e lo portò in giro per il paese, presenziando anche alle conferenze stampa della nazionale olandese. L’allora c.t. degli oranje, Jan Zwartkruis, lo detestava, “perché con le mie domande sul rispetto dei diritti umani stavo rovinando il suo momento di gloria. In Germania invece organizzai un’intervista con Berti Vogts, capitano della nazionale, ma quando al Borussia Monchengladbach capirono dove volevo andare a parare mi chiusero la porta. Dissero che non avevano bisogno di un buffone olandese che dicesse loro cosa fare”. Le firme presentate il 28 aprile 1978 alla Federcalcio oranje erano qualche decina di migliaia. Per il Qatar ne ha raccolte ancora meno. In entrambi i casi, sono mancati i testimonial importanti. Nel 1978 solo due calciatori olandesi aderirono all’iniziativa: Oeki Hoekema e Jan Mulder, entrambi da tempo fuori dal giro della nazionale. Hoekema, una sola presenza in arancione, fu addirittura deriso da Wim van Hanegem sulle colonne del De Telegraaf. Oggi perlomeno nessuno si è permesso di prendere in giro i norvegesi del Tromsø o il finlandese Riku Riski, ma nel panorama calcistico attuale essi hanno lo stesso, irrilevante peso di un Hoekema nell’Olanda dei ’70.
A quarant’anni di distanza, la linea di pensiero dei giocatori è rimasta la medesima. Dice De Jonge: “Il messaggio è chiaro: siamo calciatori e vogliamo giocare a calcio, non è colpa nostra se l’Argentina/il Qatar si trova in queste condizioni, né possiamo fare niente per cambiare le cose. Prendete il nostro capitano, Virgil van Dijk. Si è esposto pubblicamente per il boicottaggio del programma tv Veronica Inside per un caso di blackface, ma sulla questione Qatar non ha proferito parola. Io la chiamo indignazione selettiva. All’Ajax Edwin van der Sar disse, malcelando una buona dose di arroganza, che il club non avrebbe preso alcuna posizione sull’evento perché avevano deciso così. Ma almeno argomenta le tue posizioni, fai uno sforzo per andare oltre. Ruud Gullit, ad esempio, era uno di quelli che si sforzava. Una volta ho girato con lui un film sull’apartheid. Oggi lavora per un’emittente televisiva del Qatar. Ognuno è libero di agire come vuole, io stesso ho guardato la finale del Mondiale argentino e guarderò anche questa. Ma non credo ci possa essere orgoglio a vincere una coppa del mondo simile oppure, nel caso dell’Olanda, arrivare nuovamente secondi”.
Le azioni di boicottaggio più concrete non sono arrivate da istituzioni sportive ma da aziende private. Come la Arbejdernes Landsbank, istituto bancario che sponsorizzava la nazionale danese. Il board ha deciso di concludere la partnership con la Federazione dopo la qualificazione della Danimarca in Qatar perché non voleva che il marchio venisse associato a quell’evento. Oppure la Hendriks Graszoden, società olandese specializzata nella fornitura di erba per campi da gioco, che già aveva lavorato in due Mondiali (Germania 2006, Francia 2018) e in un Europeo (Austria-Svizzera 2008), ma che in Qatar non andrà per motivi etici. Secondo De Jonge “sono due gocce nell’oceano, d’accordo, ma l’alternativa quale sarebbe? Non fare e non dire niente? Del resto le organizzazioni internazionali sportive come la Fifa e il Cio non sono interlocutori affidabili. Basta vedere, nel primo caso, quanto tempo è rimasto al comando Sepp Blatter nonostante tutti sapessero che era una persona di malaffare”.
Il sogno di De Jonge, la sua “visione utopistica”, vorrebbe che l’assegnazione dei Mondiali “fosse sottratta alle federazioni sportive e affidata a una commissione speciale delle Nazioni Unite. Persone indipendenti, con un punto di vista chiaro: un paese che viola i diritti umani non può organizzare un grande torneo sportivo. Prendete il Mondiale del 2010: organizzare una Coppa del Mondo in Sudafrica è stata di per sé una buona idea, ma perché costruire stadi enormi destinati a rimanere vuoti una volta terminato il torneo? Sarebbe stato meglio optare per stadi più piccoli, da accompagnare a investimenti in infrastrutture e nei sobborghi delle città. Così aiuti davvero un paese”.
Le dichiarazioni di De Jonge sono state tratte da interviste concesse ai giornali Algemeen Dagblad e Voetbal International, e al giornalista Iwan van Duren per il suo libro Voetbal in een vuile oorlog (Calcio nella guerra sporca) dedicato al Mondiale del ’78. Proprio da quest’ultimo sono arrivate alcune tra le parole più lucide su Qatar 2022: “Il sistema turbo-capitalista che governa il calcio a livello internazionale non poteva che piegarsi di fronte a una delle regole d’oro alla base del suddetto sistema: chi paga, decide. E non esiste niente di più simbolico di uno sport dove il denaro è l’unica lingua conosciuta che organizza il suo maggiore evento in uno stato dove il denaro è l’unica lingua conosciuta. Il denaro del Qatar scorre copioso nelle vene del calcio. […] Lì si possono fare tantissimi soldi, e non farlo – dicono – sarebbe stupido e ipocrita. E come la mettiamo con i valori? Basta non averli, così non è necessario tradirli”.