Indietro tutta: in Sicilia tornano le province. Così, perlomeno, annuncia il neo presidente, Renato Schifani: “Uno dei primi atti del mio governo – ha detto – dovrà essere quello di trovare una soluzione legislativa che permetta di reintrodurre le vecchie Province e con elezione diretta”. Una legge, dunque, per resuscitare il ruolo politico e, manco a dirlo, elettorale, delle province, questo c’è nelle intenzioni dell’ex presidente del Senato, adesso governatore della Sicilia. Saranno riesumate le elezioni dirette dei presidenti di provincia e del consiglio provinciale, esattamente come nel passato. Una retromarcia che è per il momento solo una dichiarazione di intenti, perché Schifani non ha potuto ancora formare il governo, bloccato dalla mancata proclamazione dei consiglieri regionali: secondo una legge regionale, infatti, non può essere formata la giunta finché non si insedia l’Assemblea.

Dopo i ritardi dovuti agli errori di compilazioni delle schede elettorali dei presidenti di sezione, la nuova Ars è finalmente pronta ed aprirà i battenti il prossimo 10 novembre, a un mese e mezzo dalle elezioni. Fino ad allora Schifani ha, dunque, tutto il tempo per definire la squadra di governo. Nell’attesa di Ars e giunta, non mancano però i proclami. Lui, per la verità, di ripristino delle province aveva già parlato in campagna elettorale. Adesso lo ha soltanto ribadito a margine della cerimonia di consegna delle lauree ad Enna, confermando la sua determinazione a resuscitare i vecchi enti e le elezioni dirette: “Non è un fattore squisitamente elettorale o campanilista, ma oggi mancano gli interlocutori per alcuni servizi di base. È necessaria una presenza istituzionale sul territorio più efficace, più capillare. Presenteremo un disegno di legge in questa direzione, e spero che su questo ci possa essere collaborazione anche con le opposizioni”. Che hanno risposto subito. “Penso che dovremmo prendere atto che il modello prospettato dalla riforma della legge Del Rio non sta funzionando, che siamo di fatto in una situazione di stallo, perché senza rappresentanza politica questi enti non hanno funzionato, perciò mi pare corretto pensare a un ritorno indietro per risolvere quella che è a tutti gli effetti una crisi sistemica”, indica Antonello Cracolici, consigliere regionale d’opposizione, colonna portante di lungo corso del Pd siciliano.

E dire che fu proprio il Partito democratico a volere l’abolizione delle province. La Sicilia partì addirittura per prima, dopo un dibattito nazionale che durava da mesi: fu Rosario Crocetta, da poco eletto alla guida della Regione, il primo a proporre una legge per l’abolizione delle province, poi regolarmente approvata dall’Ars. Così furono istituite le tre città metropolitane di Palermo, Catania e Messina, più sei liberi consorzi. E così iniziò lo stallo elettorale: per i ruoli di rappresentanza degli enti, si sarebbe dovuto votare con elezioni di secondo livello: in pratica a votare non erano tutti cittadini ma soltanto i consiglieri comunali dei vari comuni che componevano consorzi e città metropolitane. Elezioni che non sono mai avvenute. Da Crocetta a Musumeci si passò di rinvio in rinvio senza mai raggiungere il traguardo del voto: per questo motivo le 9 ex province sono state di fatto gestite da commissari.

Nel frattempo nel resto d’Italia l’abolizione delle province prevista dalla Legge Delrio (legge 56/2014) è rimasta a metà: per completarla sarebbe dovuto passare il referendum sulla riforma costituzionale voluta da Matteo Renzi. Da quel momento gli enti intermedi sono rimasti in una sorta di limbo. E adesso la Sicilia, che è stata la prima a cancellare le province, potrebbe essere la prima a resuscitarle. “Nel frattempo, però, sono state svuotate di personale pur mantenendo le competenze sugli stessi servizi”, spiega Nuccio Di Paola referente del M5s siciliano. La manutenzione delle strade, quella delle scuole di secondo grado, con annessa assistenza ai disabili, solo per citare alcuni dei servizi appannaggio degli attuali consorzi e città metropolitane: “Non ci sono più tecnici, funzionari, ingegneri, progettisti. Negli anni si è creato un forte impasse istituzionale, a danno dei servizi e dei conti: sono enti adesso gravati da buchi economici sostanziosi”, continua l’esponente dei 5 stelle. Che però sull’annuncio di Schifani è più critico del dem: “Bisogna metterci mano non per dare poltrone e contentini a chi è rimasto fuori dalle elezioni regionali o dalle politiche – sottolinea Di Paola – è necessario fare chiarezza sui servizi, capire se bisogna fare concorsi, assunzioni, risolvere il problema del personale insomma, e da qui ripristinare i servizi per i cittadini”.

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