Io e mio marito Renato siamo appassionati di Gianni Di Gregorio, regista e attore, e abbiamo guardato e amato tutti i suoi film. Ci dicevamo spesso che avremmo desiderato incontrarlo, ma non sapevamo come questo sarebbe potuto accadere, visto che saperne di più su di lui non era possibile. Facendo delle ricerche sui social, infatti, non si trova traccia di Gianni Di Gregorio: assente. Forse uno tra i pochissimi personaggi famosi a vivere senza l’ossessione di apparire, schivo e avulso (non per snobismo), praticamente un alieno. Allora non restava che immaginare di poterlo incrociare per caso in qualche viuzza, magari di Trastevere, dove non avremmo avuto poi il coraggio di importunarlo.

E invece questa fortunata occasione si è presentata quando ho scoperto che sarebbe stato presente prima di una proiezione di Astolfo, la sua ultima opera, in questi giorni nelle sale, dopo la presentazione alla Festa del Cinema di Roma. E così ho portato con me la copia del suo Lontano Lontano, un trittico di racconti il terzo dei quali, che dà il titolo al libro, è quello che narra la storia dell’omonimo film. In realtà la trama era tracciata, seppur in embrione, già nel racconto Poracciamente vivere, pubblicato nel 2015 nell’antologia Storie dalla città eterna.

Inaspettatamente, lo abbiamo visto all’ingresso del cinema, fermo con qualcuno che come me voleva un autografo e una foto. Così ho finalmente avuto la possibilità di osservarlo e ascoltarlo da vicino, facendogli poche impacciate domande per paura di turbare con la mia esuberanza la sua evidente quiete. Gli ho chiesto una dedica e domandato dei suoi affetti, incuriosita se avesse o meno una famiglia. L’ho sempre immaginato solo, forse perché è un tutt’uno con i suoi personaggi che, pur essendo diversi e calati in differenti storie, hanno un filo conduttore che in qualche modo li accomuna e avvicina tutti.

Questo è dovuto probabilmente a quanto di suo Di Gregorio vi trasferisce, attingendo dalla sua personalità e dal suo carattere. E’ sua l’umanità nei personaggi che interpreta con assoluta naturalezza, trasformando doti eccelse quali candore, ingenuità, purezza, garbo, sensibilità, bontà, in elementi trasgressivi poiché inusuali, direi quasi sconosciuti ormai, sia nella vita reale che nella sua trasposizione cinematografica. Di Gregorio è lieve, recita, scrive, vive, con gentilezza ed educazione. E pure gli altri coprotagonisti sono in linea, non risultando mai sopra le righe, persino quando si lasciano andare a battute goliardiche, che non sconfinano mai nella volgarità.

I dialoghi risultano spontanei, cose semplici della quotidianità che assumono tratti poetici, sognanti e a volte surreali. Il valore dell’amicizia e della solidarietà sono sempre presenti, così come più d’una volta c’è un figlio alle prese con la propria madre.

Quest’ultimo film, da lui definito il suo più allegro, è poesia, grazia, delicatezza, ironia, leggerezza. Per la prima volta l’ambientazione si sposta da Roma alla provincia, in un piccolo paese del centro Italia, un borgo di cui tratteggia un piacevole e a tratti amaro ritratto. Per i soggetti e per lo stile letterario, trovo alcune affinità con Piero Chiara, i cui romanzi sono ambientati nella provincia italiana del nord. Piccoli mondi indagati con acume e profondità insieme ai vizi e virtù dei suoi abitanti, un microcosmo sede di minuscoli straordinari stupefacenti eventi.

Astolfo strappa molte risate ma si coglie, come negli altri film di Di Gregorio, un velo di malinconia e una sottile attenzione verso il disagio provocato dalla solitudine.

E’ un film più romantico dei precedenti, essendo prevalente la componente sentimentale. La tenera storia d’amore che sboccia tra i due protagonisti che hanno già una certa età è pervasa da timidezza e pudore. E’ una vittoria dei buoni, di chi prova un fanciullino stupore davanti all’incanto di sentimenti puliti. Di Gregorio riesce a fare film senza scene di nudo, senza forzature, senza effetti, senza cercare spettacolarità. Ciò nonostante Stefania Sandrelli non cela, in nessun fotogramma in cui è presente, l’incantevole seduttività della sua risata e la sua elegante bellezza senza fine, immutata dai tempi di Divorzio all’italiana quando, poco più che adolescente e acerba, era già immensa.

Non sono sfuggite alla mia attenzione le due raffinate citazioni cinematografiche: una delle scene clou di Colazione da Tiffany, che Stefania guarda con una punta di commozione dopo una giornata passata a fare la nonna, e un vecchio film italiano in bianco e nero (mi pare De Sica, non posso dirlo con certezza a causa della veloce inquadratura) mentre Astolfo e Stefania sul divano, impacciatissimi e a distanza di sicurezza, concludono la loro prima uscita serale.

Un trionfo su tutti i fronti, compreso un bel lancio turistico per il borgo di Artena.

In conclusione: Di Gregorio è il vicino di casa che vorremmo avere, per il piacere di incontrarlo sulle scale, salutarlo, chiedergli come va, e ricevere uno dei suoi sorrisi sereni e piacevoli ascoltando il suo parlare composto, misurato e simpatico.

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