Su un totale di 3,2 miliardi di dollari (liquidati tramite Sace) per il finanziamento dell’energia, quasi il 90% è andato a gas, petrolio e carbone, il 3,5% all’energia pulita e altri 215 milioni di dollari (il 6,7%) ad altri settori. È quanto emerge dalla ricerca pubblicata da Oil Change International e Friends of the Earth USA, a cui hanno collaborato Legambiente e ReCommon. Roma, quindi, è in ritardo, rispetto ad altri Stati, nell’attuare un impegno congiunto a porre fine al finanziamento pubblico per i progetti internazionali su fonti inquinanti entro la fine del 2022, adottato lo scorso anno alla conferenza globale sul clima di Glasgow, la Cop 26
L’Italia è il sesto più grande finanziatore di combustibili fossili al mondo: tra il 2019 e il 2021 ha fornito 2,8 miliardi di dollari all’anno in finanza pubblica al settore, più di Arabia Saudita e Russia che sono rispettivamente all’ottavo e al nono posto nella classifica dei Paesi del G20. Una nuova ricerca pubblicata da Oil Change International e Friends of the Earth USA, a cui hanno collaborato Legambiente e ReCommon, mostra che l’Italia è in ritardo, rispetto ad altri Stati, nell’attuare un impegno congiunto a porre fine al finanziamento pubblico per i progetti internazionali sui combustibili fossili entro la fine del 2022, adottato lo scorso anno alla conferenza globale sul clima di Glasgow, la Cop 26. Anche l’Italia ha fatto una promessa. “Il Governo italiano – si chiede Adam McGibbon, di Oil Change International – manterrà la parola data o verrà alla COP27 a mani vuote?”.
I finanziamenti italiani attraverso Sace – Finora i finanziamenti italiani per le fonti più inquinanti sono fluiti in gran parte attraverso Sace (Servizi Assicurativi del Commercio Estero), l’agenzia italiana di credito all’esportazione, controllata dal ministero dell’Economia e delle Finanze. Come ricordato di recente da ReCommon, fra il 2016 ed il 2021, l’assicuratore pubblico italiano ha emesso garanzie al settore oil&gas per un totale di 13,7 miliardi di euro. Eppure, alla Conferenza sul Clima di Glasgow dello scorso anno aveva promesso che, entro un anno, avrebbe detto addio a questo tipo di operazioni. Sace ha emesso garanzie anche per i megaprogetti di gas Mozambique GNL di Total (950 milioni di dollari), un progetto di liquefazione del gas onshore nella provincia settentrionale di Cabo Delgado e per Coral South FLNG di Eni (700 milioni di dollari), il primo impianto galleggiante di GNL mai installato in Africa e la terza piattaforma del suo genere al mondo.
Il caso del Mozambico – Il Mozambico, infatti, è un Paese ricco di gas naturale dove, però, i grandi giacimenti scoperti nel giro di più di dieci anni hanno portato grandi speranze e diversi problemi, a iniziare da quello della corruzione che ha portato alla revoca degli aiuti finanziari da parte dei donatori. Da qui l’aumento del debito pubblico e la crisi economica con l’esplosione di violenti conflitti. “Sace ha fornito supporto a molti progetti controversi, tra cui il progetto Mozambico GNL, che sta esacerbando un conflitto interno al Paese africano” si legge nel report, nel quale gli autori raccontano come l’agenzia italiana abbia anche sostenuto le fonti fossili in Russia nei sette anni trascorsi dall’annessione della Crimea. “Finora le attività di Sace sono proseguite senza una vera e propria politica pubblica sul cambiamento climatico, che le ha consentito di sostenere finanziariamente progetti devastanti per il clima, l’ambiente e le comunità in prossimità di queste infrastrutture” racconta Simone Ogno, compaigner di ReCommon, secondo cui “molti di questi progetti sono andati a beneficio di regimi che alimentano conflitti e instabilità politica, come la Federazione Russa, l’Egitto e il Mozambico”.
Alle rinnovabili, solo il 3,5% dei finanziamenti internazionali per l’energia dell’Italia – Una quota molto inferiore della finanza pubblica italiana è andata all’energia pulita: una media annua di 112 milioni di dollari tra il 2019 e il 2022. Ciò significa che su un totale di 3,2 miliardi di dollari per il finanziamento dell’energia, quasi il 90% è andato ai combustibili fossili, il 3,5% è andato all’energia pulita e altri 215 milioni di dollari (il 6,7%) è stato investito in altri settori. Il nuovo rapporto di Oil Change International e Friends of the Earth USA rivela che tra il 2019 e il 2021 i paesi del G20 e le principali banche multilaterali di sviluppo hanno finanziato una media annua di 56 miliardi di dollari per progetti di petrolio, gas e carbone, superando il sostegno alle energie rinnovabili, che hanno ricevuto una media annua di 29 miliardi di dollari nel periodo 2019-2021.
Quella promessa fatta alla Cop 26 – All’Italia, che tra pochi giorni sarà impegnata alla conferenza mondiale sul clima, la COP27 in programma Egitto, “mancano meno di due mesi per rispettare la scadenza di fine anno del suo impegno a porre fine alla finanza pubblica internazionale per i combustibili fossili” ricordano gli autori del focus italiano del report. Altri Paesi, tra cui Regno Unito, Francia, Belgio, Danimarca, Svezia e Finlandia, hanno già pubblicato nuove politiche per attuare l’impegno. Tutto questo, mentre il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico ha evidenziato nel suo ultimo rapporto che la finanza pubblica per i combustibili fossili è “gravemente disallineata” rispetto al raggiungimento degli obiettivi di Parigi, ma che, se spostata, potrebbe svolgere un ruolo fondamentale nel colmare il divario verso azioni e politiche di mitigazione, consentendo riduzioni delle emissioni ed una giusta transizione. “È giunto il momento di un cambiamento radicale. L’Italia – commenta Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente – deve smettere di sovvenzionare i combustibili fossili e i progetti correlati, che non solo contribuiscono alla grande crisi che assistiamo quotidianamente, ai prezzi dell’energia e alla crisi climatica, ma portano anche a conflitti e disuguaglianze sociali”.